Il debito pubblico degli stati: è questo l'incubo, già ampiamente previsto, degli investitori, e non solo. I quali, dopo lo scoppio dell'affaire Grecia, si domandano: chi sarà il prossimo stato a dubbio d'insolvenza? Per il Financial Times, che non disdegna un po' d'alterigia anglosassone, la risposta è semplice: i rischi, soprattutto in chiave Euro, arrivano da Spagna e Italia. Un'affermazione che, a ben vedere, è troppo semplicistica.
L'Italia, un caso a parte
Il perché lo fa capire uno studio di UniCredit che, al contrario, fa professione d'ottimismo sul nostro paese. Per gli esperti di piazza Cordusio l'Italia "appartiene ad una categoria a sé", mentre gli stati più a rischio sono: Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna. Noi, si sa, abbiamo il rapporto debito/Pil più alto, stimato per il 2009 a quota 116 per cento. Tuttavia c'è un mix di fattori che gioca a nostro favore: "In primis, il forte tasso di risparmio delle famiglie italiane; poi, la prudente gestione della politica fiscale durante la crisi; infine, il basso deficit che, per lo scorso anno, è previsto al 5% del Pil". Un cocktail di elementi che ha messo il nostro Paese in «una posizione di forza, ben riconosciuta dagli investitori». Per accorgersene, basta vedere l'andamento dello spread del decennale italiano rispetto al Tbund tedesco: nonostante l'Italia abbia un rating sovrano (A+) tra i più bassi, il differenziale è minore (poco sotto i 50 basis point) sia rispetto all'omologo spagnolo sia a quello portoghese. Per non parlare dell'Irlanda (oltre i 150 basis point) e della Grecia (attorno ai 350 basis point). Come dire insomma: abbiamo sì il debito più grande, ma così è sempre stato e, per adesso, il mercato non si preoccupa più di tanto. Inoltre, la dinamica futura sia del deficit sia del debito italiano – secondo UniCredit – sarà migliore di quelli degli altri "fratelli deboli". Il che permette di considerarci "una categoria a parte". A bene vedere, il nostro vero problema è l'endemica "bassa crescita" che potrà penalizzarci al momento dell'uscita dalla crisi.
La debolezza del governo di Lisbona
Fin qui l'Italia, ma il resto degli osservati speciali? Al di là della Grecia, il prossimo a preoccupare è il Portogallo che "ha forti squilibri fiscali e di bilancia commerciale. Inoltre, il suo approccio per riportare il deficit fiscale in carreggiata è troppo tiepido, tenuto anche conto che nel 2010 le previsioni sono ancora di un calo del Pil (-1%)". Di più: Lisbona - scrive UniCredit - ha una maggioranza governativa non così forte; la recente bocciatura, in parlamento, di una legge per il riassetto fiscale regionale è lì a mostrarlo. "Il Governo non sembra in grado di fare le riforme necessarie - aggiungono dall'investment bank italiana-. Il che, in un periodo di crisi", non è il massimo. Dopo il Portogallo, tra i paesi che potrebbero affrontare problemi sul fronte debitorio ci sono la Spagna e, infine, l'Irlanda.
Gli obiettivi di Dublino più credibili di quelli di Atene
Proprio l'Irlanda, tra le prime ad essere entrate nel mirino degli investitori, ora sembra riuscire a risalire la china. Dublino, secondo UniCredit, è un caso emblematico. Soprattutto se lo si paragona a quello della Grecia. "Sulla carta- scrivono gli analisti – Atene si è impegnata in uno sforzo maggiore: l'obiettivo è ridurre il deficit di 5 punti percentuali di Pil nel 2010", a fronte del 2,3% promesso" dagli irlandesi. La differenza sta però nel fatto che la Grecia si è focalizzata solo sulle entrate: per esempio, puntando su una dura lotta all'evasione fiscale. Una strategia lodevole, efficace soprattutto sul medio-lungo periodo, "che però in un momento di recessione offre risultati incerti. L'impostazione dell'Irlanda, invece, è tutta sul lato della spesa, compreso il taglio dei salari nel pubblico impiego". Qui, a ben vedere, l'approccio di UniCredit sembra un po' troppo da "ufficio studi": in un momento dove la disoccupazione è alle stelle, parlare di riduzione salariale (oltre che una difficoltà per i lavoratori) può essere un fattore scatenante di tensioni sociali. "A Dublino – scrive però UniCredit – è stato avviato un ampio dibatto sulla necessità di queste misure che sembra aver portato ad una loro accettazione di massima. Mentre in Grecia, proprio la reazione popolare rimane una forte incognita". Al di là delle considerazioni sociologiche di UniCredit, è comunque innegabile che gli operatori sembrano dare più credibilità agli sforzi irlandesi che a quelli ellenici: nel breve periodo sì sa, è l'adagio del mercato, è più facile tagliare i costi fissi piuttosto che cercare maggiori efficienze.
La crescita resta la chiave
Fin qui le manovre contingenti: ma quale l'elemento chiave per uscire dal nodo del debito? La risposta è una sola: la crescita. Quando, per riportare il debito sovrano sotto controllo, verranno mese in atto politiche fiscali restrittive, diverrà concreto il rischio di ricadere in recessione. Un'eventualità che potrà evitarsi solo se l'economia si sarà ri-messa in moto. E banale dire, infatti, che se all'aumentare del debito, cresce anche la ricchezza della nazione, la "cambiale" che lo stato ha firmato non si trasforma in un problema strutturale. Un obiettivo che – secondo UniCredit- dipenderà anche dalla qualità delle manovre restrittive. Queste dovranno essere finalizzate a recuperare efficienza e produttività. Altrimenti, il rischio sarà quello di vedere un malato che, dopo i mille antibiotici somministrati nel 2009, tornerà ad ammalarsi. E in quel momento dovrà, però, accontentarsi di una minestrina perché gli antibiotici saranno finiti.