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Il parterre Ambrosetti / «La compagnia guardi all'estero»

di Simone Filippetti

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27 marzo 2010

Una governance più semplice, come un mercato moderno ed efficiente richiede. Meno conflitti di interesse, che non giovano a nessuna società. E soprattutto quella grande mossa sullo scacchiere internazionale che da tempo in molti auspicano. Mentre ieri negli uffici di Mediobanca, in pieno centro a Milano, si decidevano le sorti per la guida delle Assicurazioni Generali, da Villa D'Este, decine di chilometri più a Nord, la business community internazionale, riunita nel think tank del Seminario Ambrosetti traccia la "road map" che il colosso assicurativo triestino dovrebbe seguire. Ieri il dossier Generali teneva banco sulle sponde del lago di Como, anche per la presenza, tra i relatori, di Tomaso Padoa Schioppa. L'ex ministro dell'Economia del governo Prodi era uno dei candidati alla presidenza delle Generali, ma ieri l'economista si è trincerato dietro il silenzio mentre in serata è arrivata la designazione ufficiale di Cesare Geronzi.

La futura presidenza del gruppo assicurativo, dopo decenni a "marchio" francese con Antoine Bernheim, è una decisione che interessa anche la comunità internazionale: il Leone di Trieste è tra i pochi colossi finanziari del Paese di caratura internazionale, e agli occhi di molti investitori, certi bizantinismi italiani sono difficili da comprendere. Ma, questa volta, la politica rimarrà fuori dalla porta e non si intrometterà: parola del ministro dell'Economia Giulio Tremonti secondo cui «siccome non abbiamo nessuna competenza non c'è stato nessun attivismo». Il chiamarsi fuori dalla partita non impedisce al ministro di apprezzare il contributo che il gigante triestino dà all'Italia: «Le Generali sono un pezzo importante dell'economia di questo Paese. Credo che siano amministrate assolutamente molto bene, quindi la conferma di quel tipo di amministrazione dal lato dell'interesse pubblico basta e avanza. Se continuano a lavorare così è assolutamente positivo per il Paese».

Tuttavia a prescindere da chi siederà sulla poltrona di presidente, il messaggio lanciato ieri dai partecipanti del Workshop Ambrosetti suona chiaro: Generali è un grande e solido gruppo che, per dirla con le parole di Alessandro Cremona, ex banchiere di Nomura, necessita di «trarsi di più sul core business e sull'estero», perché tutto il mercato si aspetta che il gruppo faccia quel salto definitivo per «diventare un vero leader europeo», magari una grande fusione: la mente corre ad Axa e Allianz, i candidati ideali per il progetto del super-polo europeo delle assicurazioni. Ma non basta perseguire la strada delle dimensioni: Roberto Ruozi, professore dell'Università Bocconi e presidente di numerose società, avverte che la crescita «non è tutto e la crisi finanziaria ha anche mostrato che spesso essere troppo grandi è anche un pericolo, benché non sia questo ancora il caso di Generali». Prima di fare passi in avanti, però, ammonisce Salvatore Catalano, presidente di Anima Sgr, vanno scardinati i conflitti di interesse: «Qualunque società rischia di rimanere asfittica se non si sciolgono questi rischiosi e negativi intrecci».

27 marzo 2010
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