L'annuncio lo ha dato nel febbraio scorso al Financial Times, tramite un'intervista. Il primo ministro di Sua Maestà, Gordon Brown, ha detto che il mondo «adotterà una tassa globale sulle banche». Un passo che è arrivato dopo quello compiuto dall'inquilino della Casa Bianca. Barack Obama aveva già rotto l'incantesimo sul tema: sua la scelta, duramente contestata, di imporre un balzello da 90 miliardi di dollari sulle banche di Wall Street.
Dopo quel viatico, l'inquilino di Downing Street ha dichiarato che l'accordo è vicino e che potrebbe essere siglato al summit del G20 di giugno in Canada. «Mi interessa vedere - è uno dei passaggi dell'intervista a Ft - come è aumentato il sostegno per un'azione concertata a livello internazionale e quanto ora si sia passati a valutare il meccanismo migliore per imporre la tassa». Insomma, Brown ha fatto professione di ottimismo. Se il Fondo monetario internazionale si schiererà a favore dell'imposta al meeting annuale a Washington in aprile, «la possibilità di un accordo di principio al G20 in Canada diventa una quasi-certezza», è stata la sua considerazione. Invece di una "Tobin tax" su ogni singola transazione finanziaria, che il primo ministro britannico aveva inizialmente proposto al G7 nel novembre scorso e che gli Stati Uniti avevano subito respinto, la nuova imposta «potrebbe essere sugli utili o sui ricavi delle banche o sugli stipendi dei banchieri».
Tuttavia c'è un ostacolo di non poco conto da considerare: le elezioni politiche inglesi. Il partito laburista era, fino a poco tempo fa, nettamente in svantaggio. Di recente ha guadagnato posizioni nei sondaggi rispetto ai conservatori. Riuscirà la rimonta? I banchieri della City sperano proprio di no.
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