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Parigi «pigliatutto». Noyer nominato al vertice della Bri

dal nostro corrispondente Attilio Geroni

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9 Marzo 2010
Parigi «pigliatutto». Noyer nominato al vertice della Bri. Nella foto Christian Noyer

PARIGI - La lista non fa che allungarsi, confermando l'abilità tutta francese nel piazzare propri uomini ai vertici delle più importanti istituzioni: ora è il turno di Christian Noyer, nominato ieri alla presidenza della Bri, la Banca dei regolamenti internazionali di Basilea, «banca centrale delle banche centrali», che ha tra l'altro la supervisione dell'immenso cantiere di riforma del sistema finanziario. Noyer, governatore della Banca nazionale di Francia, è solo l'ultimo di una schiera di civil servant che l'amministrazione nazionale "presta" alle organizzazioni multilaterali.

È in fondo la storia di un paese la cui forte identità nazionale spinge naturalmente a promuovere ed esportare idee, valori, cultura e competenze. Versione aggiornata di questa tendenza è ad esempio la realizzazione di una filiale del Louvre ad Abu Dhabi. Ma tra gli organismi più tradizionali questa tendenza dura da tempo. Il Fondo monetario internazionale, in 65 anni di vita, ha visto per una buona metà direttori generali francesi, compreso quello ora in carica, Dominique Strauss-Kahn. La stessa Bers, Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, ora presieduta dal tedesco Thomas Mirow, è in realtà una creatura francese, marchio di fabbrica apposto da François Mitterrand alla caduta del muro di Berlino e all'apertura dei mercati dell'Est Europa: il primo a presiederla fu Jacques Attali. Quanto alla Bce, lo stesso Jacques Chirac mise tutto il suo impegno e potere persuasivo affinché il mandato dell'olandese Wim Duisenberg fosse monco e lasciasse spazio a un francese, l'attuale numero uno Jean-Claude Trichet.

Origine accademica e percorso di questi personaggi sono spesso simili: Ena, Sciences Po, direzione generale delle Finanze, per poi approdare nei gabinetti ministeriali o in qualche grande gruppo privato. Da un lato c'è l'inconveniente di carriere fotocopia, di porte girevoli; ma dall'altro c'è una classe dirigente della quale non si possono negare preparazione e impegno.

In molti casi l'evoluzione sulla ribalta internazionale ha portato questi alti funzionari con gli interessi nazionali. Come dimenticare le continue lamentele di Sarkozy contro l'euro forte? La critica implicita nei confronti di una Bce per la quale avrebbe senz'altro voluto un ruolo più attivo nella politica dei tassi di cambio? Trichet non si è mai scomposto più di tanto.

In rotta di collisione col presidente della Repubblica, ma per altre ragioni, potrebbe trovarsi Strauss-Kahn, le cui ambizioni presidenziali non sono ormai un mistero per nessuno. Si dice che Sarkozy lo avesse spedito a Washington proprio per tenerlo alla larga dalla politica francese. È difficile però immaginare che non avesse pensato alle controindicazioni di un incarico prestigioso che alla fine sarebbe servito all'ex ministro socialista delle Finanze come trampolino per l'Eliseo. Ma quando è l'immagine del paese a vincere, si può fare anche a meno di certi calcoli.

9 Marzo 2010
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