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Le origini del "Goldman Sachsism"

di Vittorio Da Rold

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16 aprile 2010

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Solo suggestioni? Fumisterie intellettuali? Può darsi ma qualche elemento di riflessione è davvero interessante. La Arendt, filosofa ed ebrea tedesca scampata al nazismo, ha trascorso gran parte della sua carriera di insegnamento nelle università americane. Lei è probabilmente più conosciuta al grande pubblico per la sua frase "la banalità del male", che ha coniato, mentre seguiva il processo di Adolf Eichmann a Gerusalemme - la sua idea è che il male di Eichmann non illustra una passione estrema, ma piuttosto una ottusa, burocratica obbedienza all'autorità. Tralasciando che anche questa frase è stata usata per spiegare la crisi economica da Shoshana Zuboff su Businessweek dove ha parlato di banalità dell'operare in un sistema che «ricompensa la transazione ma respinge le responsabilità per le conseguenze di queste transazioni» è sull'offuscamento del bene comune che ci vogliamo soffermare.

Nella carriera della Arendt, spesa nella analisi del crollo della civiltà europea a causa del nazismo e del comunismo, uno degli elementi chiave di questo collasso è stata la sostituzione dell'impegno delle virtù pubbliche con il perseguimento di interessi privati. Ma non è ciò che avviene sempre in ogni civiltà al tramonto? Non esattamente. «Per la prima volta -, ha scritto, parlando di imperialismo - investimenti di potere non aprono la strada agli investimenti di denaro, ma l'esportazione di potere segue docilmente il denaro esportato».

Un altro partecipante alla conferenza, Tracy Forte, docente di scienze politiche presso l'Università di California, San Diego, ha notato l'attenzione della Arendt sulla figura di Cecil Rhodes, il colonizzatore britannico dell'Africa del sud, che disse che «avrebbe annesso il pianeta se avesse potuto». Ciò che la conferenza di Bard ha fatto è tracciare la linea che va da Rhodes a Goldman Sachs, Morgan Stanley, AIG e altri che erano troppo grandi e fondamentali per poter fallire (too big to fail). Un tema che rieccheggia le dure parole di Paul Volcker poi entrate nelle lettera sui principi della riforma finanziaria di Obama così come recepita nel comunicato della Casa Bianca nel gennaio 2010.

Roger Berkowitz, capo del Centro di Hannah Arendt per l'etica e la politica, riferendosi all'epoca imperialista, è andato ancora più a fondo."Oggi – ha aggiunto – sta avvenendo praticamente la stessa cosa».Come i loro omologhi del 1870 che si avventuravano in territori lontani e ostili alla ricerca di ricchezze favolose, e poi hanno dovuto rivolgersi a loro governi per la tutela, le banche commerciali e quelle di investimento di oggi vogliono massimizzare i profitti in modo superrischioso ed essere protette contro il rischio allo stesso tempo.

E' il concetto che gli economisti chiamano di moral hazard, ma che per usare le parole di Mervyn King, ha raggiunto in Gran Bretagna "in investimenti diretti o prestiti garantiti alle banche la cifra di mille miliardi di sterline, pari ai due terzi della produzione annuale dell'intera paese». C'è stato un momento in cui la Bank of Scotland aveva un patrimonio superiore a quello britannico.

Cifre enormi ma al convegno sulla Arendt i partecipanti si sono stupiti della facilità con cui i governi del 1870 furono convinti a servire gli interessi privati degli imperialisti creando in anticipo una sorta di turbo-capitalismo. Oppure, per dirla con la Arendt, citata in questo caso da Kohn: «Le nazioni in questione non sapevano nemmeno che l'incoscienza (Moral hazard diremmo oggi) che ha prevalso nella vita privata di allora, e contro il quale l'ente pubblico (lo Stato hegeliano) ha sempre dovuto difendere se stesso e i suoi cittadini, fu elevata a quella di principio politico pubblicamente riconosciuto - cioè, il principio della gloria nazionale, attraverso l'espansione imperiale».

Naturalmente si deve ricordare che le analogie storiche vanno prese sempre con molta cautela ma il fatto che il concetto di "incoscienza" o di prendere rischi maggiori di quanto sia sostenibile nella propria attività privata, diventi un principio pubblicamente accettato nella sfera politica suggerisce che la Arendt aveva capito profeticamente un aspetto del nostro presente. Spetta a noi cercare di ricondurre la razionalità nel sistema accettando anche di riflettere su suggestioni che all'inzio possono sembrare un po' astruse e non pertinenti secondo l'ortodossia economica.

16 aprile 2010
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