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Banche a rischio sofferenze

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21 maggio 2010

Poco meno di un quinto degli attivi dei primi dieci gruppi bancari italiani è impiegato in strumenti finanziari il cui valore è legato alle oscillazioni dei mercati. Parliamo di una cifra che sfiora i 408 miliardi di euro, costituita per la quasi totalità da attività al fair value, cioè bond, azioni e derivati valutati con parametri di mercato. Per quanto possano sembrare elevate, queste forme di impiego sono di gran lunga inferiori a quelle dei maggiori istituti europei e americani. Per i gruppi creditizi dell'Unione europea gli attivi finanziari al fair value rappresentano infatti, mediamente, il 43% delle attività totali, e per i gruppi americani il 34% (anche se il dato statunitense è sottostimato per l'ampio ricorso alla compensazione dei derivati). Ciò rende il sistema bancario italiano relativamente più stabile e sicuro.

Ma dove è investita questa massa di attività finanziarie? Il 54%, pari a 220,5 miliardi, è impiegata in titoli di debito (titoli di stato, bond di enti pubblici e banche e altri titoli), il 10% in azioni e quote di fondi, il 31,5%, pari a 128 miliardi, in derivati detenuti per scopi speculativi (altra cosa sono i derivati di copertura) e il 4,5% in altre poste. Quella dei bond pubblici, pari a poco più di un terzo della massa totale investita, è la categoria dei titoli tipicamente considerati senza rischio. Ma dopo la crisi di solvibilità dello stato greco, che ha messo in evidenza la fragilità finanziaria di altri paesi europei, e dopo gli interventi pubblici di salvataggio del sistema bancario internazionale, la percezione del rischio associato a questi titoli è visibilmente cresciuta.

Accanto a quello di mercato c'è oggi un rischio crescente di controparte, vale a dire di qualità dell'emittente, trasversale a tutte le categorie di titoli, compresi i titoli di stato. Non a caso l'esplodere della crisi greca ha costretto le maggiori banche a rendere pubbliche le esposizioni verso Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna (Pigs). Quelle italiane in particolare, secondo dati ancora parziali, hanno in portafoglio titoli Pigs per valori modesti: 3,7 miliardi. Così suddivisi: UniCredit per 1,6 miliardi, Intesa Sanpaolo per quasi 1,1, Mediobanca per 400 milioni, Monte Paschi per 350, Banco Popolare per 244.

Nel campione inoltre figurano attività illiquide, prive di mercato e in quanto tali valutate in modo discrezionale – i famigerati titoli di Livello 3 –, pari al 4% di tutti gli attivi considerati al fair value. Il dato è in linea con quello europeo, ma di molto inferiore a quello Usa, dove raggiungono il 12 per cento.
Le attività illiquide rappresentano il 16% del patrimonio netto tangibile dei maggiori gruppi creditizi nazionali. Questo stesso dato sale al 55% nel resto d'Europa e balza addirittura al 75% negli States, dove il sistema è esposto a rischi maggiori.

Ma il grosso dell'attivo bancario, in Italia, è costituito da 1.465 miliardi di crediti alla clientela. Tra questi la massa dei crediti deteriorati, che ha sfiorato a fine 2009 gli 85 miliardi. La cifra – pari al 5,8% dei crediti totali alla clientela, con punte del 10% per Banco Popolare – è pressocché doppia rispetto all'anno precedente. Il 44% di quest'importo, 37 miliardi, è costituito da incagli, cioè crediti il cui rimborso è temporaneamente sospeso per difficoltà del prenditore, che potrebbero tornare in bonis o trasformarsi in sofferenze per il prolungarsi della crisi.
Non solo: l'ammontare dei crediti deteriorati rappresenta in media il 79% del patrimonio netto tangibile del campione (il patrimonio netto depurato degli attivi immateriali), con punte del 143% per Banco Popolare e del 104% per Monte Paschi. Il 52% di questi crediti è totalmente assistito da garanzie.

Il caso limite è quello di Banca Carige, i cui crediti di dubbia esigibilità sono garantiti solo al 28 per cento. UniCredit e Intesa Sanpaolo sono rispettivamente "coperti" per il 47% e per il 58%, mentre la banca più virtuosa è Popolare di Sondrio con garanzie totali sul 78% dei crediti inesigibili.

Per altro verso, il basso livello di sofisticazione finanziaria del sistema bancario italiano fa da ammortizzatore ai contraccolpi della crisi internazionale e alle sue possibili recrudescenze. I dieci gruppi in questione concentrano in media in Italia il 71% della loro esposizione per cassa, pari a 1.141 miliardi di euro. Solo Unicredit eroga all'estero la maggioranza dei suoi crediti, il 54%, la metà dei quali in Europa. Quota europea che si riduce al 15% per Intesa Sanpaolo e Monte Paschi.
L'esposizione è per oltre il 54% verso imprese non finanziarie e per quasi il 24% verso altri soggetti, principalmente famiglie.

Le attività fuori bilancio, pari a circa 600 miliardi, rappresentano invece il 27% del totale degli attivi bancari. Si tratta di impegni potenziali verso terzi che potrebbero diventare effettivi in caso di difficoltà della clientela. Il problema non è tanto rappresentato dall'elevato ammontare di questi crediti, quanto dalla solvibilità del singolo debitore. Oltre 200 miliardi dei crediti fuori bilancio sono a basso rischio di default, 60 miliardi sono speculativi e 320 senza un rating esterno rilasciato da una primaria agenzia internazionale. (G.O.)

21 maggio 2010
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