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Caduta dell'euro troppo rapida

di Riccardo Sorrentino

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18 maggio 2010
Caduta dell'euro troppo rapida

Quota 1,22 dollari, il minimo da quattro anni. L'euro ha continuato a perdere terreno ieri, e rapidamente. Sceso a quota 1,2330, sono infatti scattati gli ordini automatici di vendita che hanno portato la valuta comune fino a 1,2236 dollari, un livello mai più toccato da aprile 2006. Il rimbalzo, fin oltre quota 1,24, è stato però repentino e ha colto di sorpresa molti investitori che avevano scommesso su un ribasso anche più incisivo. In chiusura la valuta era a 1,2385.

Sull'euro restano comunque vive le pressioni dei mercati, preoccupati per le difficoltà dei governi nel rifinanziare i debiti pubblici - malgrado il controverso piano di salvataggio da 750 miliardi e gli interventi sui bond dela Bce - e sulle prospettive dell'Unione che vede di fronte a sé un periodo di crescita frenata dal rigore fiscale. La moneta comune ha già perso però il 7% del suo valore verso il dollaro questo mese e il 14% dall'inizio dell'anno. Gli analisti sono quindi divisi sulle prospettive di questa ondata ribassista.

Il raggiungimento di quota 1,2135, un livello a metà strada tra il massimo storico a 1,60 e il minimo a 0,82 dollari è considerato da alcuni operatori uno spartiacque importante per individuare il destino della valuta. «Sta rapidamente formandosi un consensus che vede l'euro cadere alla parità verso il dollaro», ha spiegato alla Reuters Ed Yardeni della Yardeni Research; mentre John Normand di JPMorgan, pur avendo modificato al ribasso le sue previsioni, punta ancora a 1,20 per fine anno e 1,18 per metà 2011.

Fuori dal mercato valutario, il livello dell'euro sembra, per il momento, suscitare poche emozioni, almeno tra i policymakers. Il presidente dell'Eurogruppo, Jean Claude Juncker, ha espresso piuttosto preoccupazioni per la rapidità del calo dell'euro, usando un codice che ha fatto riemergere, tra gli investitori, lo spettro di possibili interventi sul mercato. Il governatore austriaco Ewald Nowotny, che siede anche nel consiglio direttivo Bce, ha aggiunto che la flessione non deve preoccupare. «Sono piuttosto stupito - ha detto ieri a Berlino - dal fatto che ci sia tanta isteria, e purtroppo in certa misura anche qui nel paese che ci ospita, per le pressioni inflazionistiche» di un euro debole. Tra 1,20-1,30, ha però aggiunto, il cambio è «in un range normale». La vera preoccupazione per Eurolandia, ha ricordato, è la crescita debole, non il cambio.

Una valuta meno forte, in questo senso, può aiutare a sostenere le esportazioni, e soprattutto quelle tedesche. Il valore effettivo dell'euro - calcolato quindi verso le principali valute dei partner commerciali - è del resto calato del 10% da novembre, portando un po' di respiro. La riprova viene dalle dichiarazioni di ieri provenienti dalla Cina, la cui moneta è agganciata al dollaro e ne segue le sorti. «Lo yuan - ha detto il portavoce del ministero del Commercio Yao Jian - è salito del 14,5% circa rispetto all'euro negli ultimi quattro mesi e questo aumenterà le pressioni sui costi per gli esportatori e avrà un impatto negativo sulle esportazioni cinesi verso i paesi europei». La valuta di Pechino ha infatti toccato questa mattina i massimi da sette anni e mezzo sulla moneta unica. La conseguenza immediata sarà un rinvio dell'auspicato apprezzamento dello yuan. «La probabilità di un cambiamento di regime di cambio a Pechino è calata a causa delle vicende europee», ha spiegato Wengsheng Peng di Barclays Capital.

18 maggio 2010
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