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Addio al testimone del nostro tempo

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6 novembre 2007

All'indomani dell' operazione a cuore aperto cui fu sottoposto a Londra nel '90, Enzo Biagi, con il consueto, disincantato sense of humor, aveva detto: «Ormai sto giocando i tempi supplementari». La sua «partita» è stata certamente molto intensa e ben giocata. Non si può dire, per continuare con la metafora, che il suo fosse un moderno calcio a zona. Ma certamente, da Pianaccio, frazione di Lizzano in Belvedere (Bologna), dove nacque il 9 agosto del 1920, fino alle redazioni dei giornali e agli studi televisivi, il «viaggiatore-provinciale» Biagi fu accompagnato da quel buon senso da «contropiedista» che lo ha fatto amare dalla gente e rispettare dai colleghi. «Mi incanta la gente semplice - diceva - quella che festeggia gli anniversari, crede nei proverbi, nel risparmio, nelle vacanze e sa che nessuno è perfetto e che, prima o poi, si deve morire». Irreprensibile e metodico costruì con il lavoro la propria fortuna rimanendo fedele, con discrezione, agli ideali di democrazia e libertà imparati sul campo, da partigiano. «Negli anni in cui tanti perdevano la testa per Che Guevara e Ho Chi Min a me continuavano a bastare i fratelli Rosselli», aveva detto di recente. In effetti il suo motto, lontano dalle fedi dell'ideologia e ripetuto più volte, fu «curiosità e correttezza». La prima lo accompagnò sempre, fin dagli incarichi al «Resto del Carlino» poi via via attraverso la direzione di «Epoca», il Tg anni '60, il lavoro da inviato e quello da scrittore. La seconda gli costò più di uno scontro e qualche porta chiusa in faccia, sino a quella serrata del cosiddetto editto bulgaro di Berlusconi premier nel 1995, che lo escluse per anni dalla Rai, sino al suo ritorno nel 2007. E prima era finito nel mirino di Bettino Craxi che di lui aveva detto: «Biagi? Una volta mi piaceva...ora non più, fa del moralismo un tanto al chilo. Verso Berlusconi Biagi era stato subito critico: «I nuovi per due terzi sono vecchi governanti», aveva detto della seconda repubblica, aggiungendo: «Diamo tempo al tempo: ma un conto è far funzionare Mike Bongiorno, un conto gli italiani». Non era nuovo a questo genere di reazioni e diktat. Si ricorda un suo attacco al governo Tambroni su Epoca per i fatti di Reggio Emilia, dopo il quale fu chiamato dall'editore, Arnoldo Mondadori: abbracciandolo e piangendo, il vecchio Arnoldo lo licenziò.
Qualcuno aveva chiesto la sua testa.
Il suo carattere, che lui stesso ebbe modo di definire «permaloso», Biagi lo mise in mostra anche molti anni dopo, quando decise di abbandonare a Repubblica, di cui era inviato, per tornare al «nemico», Il Corriere della sera.
Biagi spiegò così i motivi del gesto: «Repubblicà aveva fatto uscire un'antologia con i pezzi migliori dell'anno passato: di mio, che pure avevo scritto 68 articoli, non c'era nulla. Ho pensato: o è una svista e allora vuol dire che non conti niente; o è voluto e allora tanto vale cambiare aria».
Attento e prolifico testimone del nostro tempo, con le sue inchieste sui giornali o in tv, aveva creato una invidiabile galleria di personaggi, costruendosi una meritata fama di "acchiappa-imprendibili". Intervistò Stefano delle Chiaie in America Latina, quando ancora era ricercato dalla polizia con l'accusa di strage; parlò con Licio Gelli; con Gheddafi poche ore prima che gli aerei americani, durante la crisi del 1986, bombardassero il quartier generale del colonnello libico. La sua intervista divenne così un documento eccezionale. Biagi non era certo nuovo a imprese del genere: da Kennedy a Kissinger, da De Gaulle a Breznev molti altri grandi erano finiti sul suo taccuino. Ma non furono solo i grandi a interessarlo: per una delle sue trasmissioni televisive, qualche anno fa l'inviato Biagi andò a pescare, nel cuore della foresta amazzonica, un sacerdote semisconosciuto, al quale, per prima cosa, chiese: «Sente mai la mancanza delle donne?». Prima di scegliere la libertà dell'inviato, Biagi fu direttore di Epoca, Tg1 e Resto del carlino . Poi editorialista per Repubblica e il Corriere della sera. In mezzo, quasi trenta libri, molti premi e riconoscimenti anche per la sua tv intelligente, fatta di cronaca e chiarezza, come la prima serie del fortunato Linea diretta del 1985. Nel 1979 gli era stato assegnato il premio Saint Vincent per il giornalismo. La maggior parte dei suoi libri sono diventati long-seller ristampati più volte in edizione economica, come per esempio la celebre 'Geografia'. Un contributo importante Biagi lo ha dato anche alla divulgazione, con le sue storie a fumetti, e le edizioni scolastiche di alcuni volumi come Testimoni del tempo, una serie di interviste a personaggi importanti della società contemporanea sui temi di attualità. I grandi successi di vendite sono cominciati nel 1976 con 'Disonora il padre'.La sua attività di scrittore si era particolarmente intensificata negli ultimi anni, forse proprio perchè Biagi sentiva che i 'supplementarì si avviavano ormai al termine. Presentando, nell' ottobre del 1994 il suo libro 'L' albero dai fiori bianch'' aveva detto: «Ora basta, questo è il mio ultimo libro. Certo, se stessi bene, vorrei scriverne un altro: di argomento religioso». C'era chi aveva ironizzato sulla sua super-produzione, ma il favore del pubblico non gli era mai mancato e alcuni titoli hanno avuto particolare successo, anche grazie alla capacità di Biagi di cavalcare l'attualità con grande sensibilità giornalistica. Fra questi 'Il boss è solo', sulla mafia e i pentiti, 'Noi c'eravamo', sugli anni della Seconda Guerra Mondiale, 'Lubjanka', sulla vita di Olga Iviaskaja, la donna che ispirò a Boris Pasternak la figura di Lara per Il dottor Zivago, 'Quante donne', varie biografie, da Agnelli a Mastrioianni, e una 'Italia del 900' in vari volumi. A chi avanzava perplessità sul fatto che un uomo da solo potesse scrivere tanto, aveva risposto: «Il mio unico archivio e anche il solo aiuto di cui dispongo, è la mia memoria: ormai il mio mondo è il passato»

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