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Subito in carcere dopo furti e rapine

di Andrea maria Candidi

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5 NoVEMBRE 2007


Si stringono le maglie della custodia cautelare. Ampliamento dei casi di applicazione, soprattutto in carcere, possibilità per il giudice di giocare d'anticipo, disponendo la misura d'ufficio già con la condanna di primo grado. È quanto prevede uno dei Ddl che compongono il monumenta-le pacchetto sicurezza varato dal Governo la scorsa settimana. In particolare quello sulla certezza della pena, nella parte in cui riformula la disciplina della custodia cautelare introducendo una serie di modifiche – minuscole quanto a dimensioni, ma notevoli per gli effetti che potrebbero produrre se approvate così come concepite – che rispondono a una doppia logica.
Da una parte si ampliano i casi, o meglio i reati, in cui può essere disposta la misura privativa della libertà di fronte al rischio del loro ripetersi e non solo e, dall'altra, si consente al giudice di applicare d'ufficio la custodia cautelare al momento della condanna.
Ancora una volta, dunque, il Parlamento è invitato a mettere le mani sul Codice di procedura penale che, tra quelli in vigore, è senza dubbio il più tartassato.
Le novità partono dai presupposti per l'applicazione delle misure cautelari. Per evitare di arricchire la già triste cronaca degli ultimi tempi, il giudice innanzitutto potrà attingere notizie e informazioni per capire chi ha di fronte non solo dal casellario giudiziale, ma anche dalla istituenda banca dati delle misure cautelari, che riceverà una boccata d'ossigeno se i fondi disposti dal collegato alla manovra per il 2008 sopravviveranno, come sembra,al passaggio parlamentare. Finora, poi, le misure personali erano previste solo di fronte al concreto pericolo di reiterazione del delitto o di commissione di alcuni gravi reati con uso di armi, o altri mezzi di violenza contro le persone, o di criminalità organizzata.
Ora, come si desume anche dalla tabella a fianco, la sfera dei reati-presupposto, il cui pericolo di commissione giustifica la custodia cautelare, si allarga a tutti i delitti per i quali è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza, che scatta quando il reo è colto con le mani nel sacco. Dunque non è più necessario temere che l'imputato ripeta un reato della stessa specie di quello per cui è finito davanti al giudice, ma basta il rischio, che deve essere concreto, che ne commetta anche di altro tipo, come il furto, la rapina o lo scippo.
Con un'altra novità dirilievo è poi consentito al giudice che procede alla condanna in primo grado, l'applicazione d'ufficio (vale a dire anche senza richiesta del pubblico ministero) della misura cautelare personale –non necessariamente in carcere – quando l'imputato, al quale è contestato uno dei reati che impongono l'ar-resto obbligatorio, risulta già condannato, nei cinque anni precedenti, per un reato della stessa specie (la cosiddetta recidiva infraquinquennale specifica). Non è quindi più necessario attendere la conferma in appello e, infatti, la norma che in tal senso dispone è stata cancellata.
L'ultima novità riguarda invece la custodia in carcere, che continua a essere prevista solo come
extrema ratio, cioè quando ogni altra misura risulti inadeguata. Anche qui siamo in presenza di un imponente allargamento dei casi, ora limitati ai delitti di criminalità organizzata di stampo mafioso. A dire il vero, però, quella oggi proposta è una sorta di ritorno al passato, perché fino al 1991 il novero dei reati per i quali poteva scattare automaticamente la custodia in carcere era più ampio di quello in vigore, comprendendo tutti i crimini nei confronti dei quali l'ordinamento consente di procedere a indagini preliminari per un tempo più lungo rispetto alla norma (due anni anziché un anno e mezzo).
Con il Ddl in questione tornano nel computo non solo tali delitti, ma anche un'altra serie di fattispecie particolarmente gravi, come l'incendio boschivo, il furto in abitazione, lo scippo o la rapina.

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