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L'insicurezza non si vince con la faccia feroce

di Jean Marie Del Boe Luigi Guiso

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La decisione del Governo di varare per decreto legge le disposizioni che affidano più poteri ai prefetti per l'espulsione di cittadini comunitari ha il significato di un segnale a un'opinione pubblica che vive una fase di vera e propria "ansia da mancata sicurezza". Quest'ansia trova giustificazione negli ultimi dati sulla criminalità che registrano un aumento dei reati nel 2006, uniforme sul territorio nazionale e senza significative differenziazioni per tipo di reato, oltre quindi gli effetti dell'indulto.
Il percorso che ha portato al decreto legge non è stato però lineare. Il pacchetto sicurezza ha faticato a ottenere l'approvazione del Consiglio dei ministri. E c'è riuscito solo raccogliendo qualche astensione. C'è poi voluto il tragico episodio che è costato la vita a Roma alla signora Giovanna Reggiani per indurre il Governo a una precipitosa riunione straordinaria per dare il via libera a un decreto legge chiamato a rendere operative da subito le sole regole sulle espulsioni. Inoltre le disposizioni dei disegni di legge che verranno portate all'esame delle Camere presentano talvolta smagliature evidenti (si veda, per tutti, il caso dell'assoggettamento al sostegno pubblico delle imprese a rischio di infiltrazione della criminalità organizzata).
Rimane, comunque, il fatto che con la decisione di ieri il Governo ha provato a dare un segnale forte mentre, al contempo, il confronto degli ultimi mesi si trasferisce dal campo del puro dibattito politico a quello più concreto dei progetti di legge. Ma a questo punto comincia il difficile. Perché non basta mostrare la "faccia feroce", stilare progetti-manifesto e anche farli approvare dal Parlamento per dare risposte incisive a chi le cerca per la propria vita quotidiana. È, infatti, necessario che le nuove regole trovino una loro effettività.
Il tallone d'Achille del nostro sistema risiede, come è stato spesso ricordato, nell'enforcement piuttosto che nella carenza di norme, nella (in)capacità dell'amministrazione (compresa quella della giustizia) di garantire che le sanzioni diventino effettive.
Senza un serio tentativo di colmare il gap tra la produzione di buone norme e il cattivo funzionamento dei meccanismi a presidio del loro rispetto si rischia solo di rafforzare il senso di invincibilità di chi sceglie la strada dell'illecito e il convincimento diffuso di debolezza dello Stato.
La risposta alla domanda di sicurezza, poi, per essere efficace, può partire dalla micro-criminalità ma non deve dare l'impressione di colpire solo alcuni reati (e in questo senso può avere una logica aver collocato un intervento sul falso in bilancio all'interno del pacchetto).
Un secondo punto critico è che, proprio a partire dalle disposizioni sui nuovi poteri attribuiti ai prefetti, il pacchetto sicurezza finisce per intrecciarsi con il problema dell'immigrazione. In Italia solo nell'ultimo anno sono arrivate ben 700 mila persone in cerca di lavoro, di prospettive di miglioramento della loro esistenza e, talvolta, di una patria. Persone solo desiderose di lavorare e migliorare la propria condizione economica e umana. Ma, confusi nel flusso, arrivano anche stranieri che cercano di inserirsi nell'area dell'illecito e di conquistare una parte del mercato criminale. Introdurre principi chiari di responsabilità e di rispetto delle norme che regolano la nostra convivenza civile va, in primo luogo, a vantaggio dei tantissimi immigrati che contribuiscono con il loro lavoro alla crescita del proprio Paese di adozione e che, spesso, vogliono dare un futuro in Italia ai propri figli.
Il sentiero andrebbe percorso lasciando da parte guerre di posizione e campagne elettorali anticipate. Giocando anche la carta di fare del decreto legge appena varato un contenitore in grado di consentire un varo rapido di altre disposizioni altrettanto urgenti, guardando all'interno dello stesso pacchetto sicurezza.

Senza un serio tentativo di colmare il gap tra la produzione di buone norme e il cattivo funzionamento dei meccanismi a presidio del loro rispetto si rischia solo di rafforzare il senso di invincibilità di chi sceglie la strada dell'illecito e il convincimento diffuso di debolezza dello Stato.
La risposta alla domanda di sicurezza, poi, per essere efficace, può partire dalla micro- criminalità ma non deve dare l'impressione di colpire solo alcuni reati (e in questo senso può avere una logica aver collocato un intervento sul falso in bilancio all'interno del pacchetto).
Un secondo punto critico è che, proprio a partire dalle disposizioni sui nuovi poteri attribuiti ai prefetti, il pacchetto sicurezza finisce per intrecciarsi con il problema dell'immigrazione. In Italia solo nell'ultimo anno sono arrivate ben 700 mila persone in cerca di lavoro, di prospettive di miglioramento della loro esistenza e, talvolta, di una patria. Persone solo desiderose di lavorare e migliorare la propria condizione economica e umana. Ma, confusi nel flusso, arrivano anche stranieri che cercano di inserirsi nell'area dell'illecito e di conquistare una parte del mercato criminale. Introdurre principi chiari di responsabilità e di rispetto delle norme che regolano la nostra convivenza civile va, in primo luogo, a vantaggio dei tantissimi immigrati che contribuiscono con il loro lavoro alla crescita del proprio Paese di adozione e che, spesso, vogliono dare un futuro in Italia ai propri figli.
Il sentiero andrebbe percorso lasciando da parte guerre di posizione e campagne elettorali anticipate. Giocando anche la carta di fare del decreto leggeappena varato un contenitore in grado di consentire un varo rapido di altre disposizioni altrettanto urgenti, guardando all'interno dello stesso pacchetto sicurezza.

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