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Pizzo alla mafia. L'Ordine dei medici: mai pagato

di Umberto Lucentini

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15 novembre 2007


PALERMO. In un "pizzino", il boss Sandro Lo Piccolo scriveva di un'estorsione da 10mila euro all'Ordine dei medici. Ora il presidente dell'Ordine, Salvatore Amato, contrattacca e rilancia. "Il pizzo non si paga, si denuncia" dice Amato che annuncia in un comunicato "di aver dato incarico al legale dell'Ordine, l'avvocato Mauro Torti, di fissare un incontro con i vertici della Procura di Palermo e di proporre ogni iniziativa legale a tutela sia della sua immagine che di quella dell'Ordine".
Nel "pizzino", trovato nel covo di Salvatore Franzese, il figlio del boss Lo Piccolo scriveva che oltre ai soldi già incassati, "altri 10mila" ne sarebbero arrivati a giorni. Ora la contromossa di Amato: "Se avessi avuto il sospetto, anche minimo, di una richiesta di tangenti all'Ordine mi sarei rivolto immediatamente all'autorità giudiziaria".
Il presidente dell'Ordine aggiunge: "La mia è sempre stata un'amministrazione improntata alla trasparenza e al rispetto delle legge, con particolare attenzione alla lotta contro il fenomeno mafioso. Questo spesso ha portato me e l'intero Consiglio a scelte dolorose come la radiazione di colleghi che hanno riportato una condanna passata in giudicato per essersi macchiati dell'infamia di avere rapporti con l'associazione criminale Cosa Nostra. Nel ribadire l'assoluta infondatezza che l'Ordine possa avere mai pagato a qualsiasi titolo una qualsiasi forma di tangente" aggiunge Amato, "è mia intenzione difendere la verità mediante ogni azione legale contro chicchessia possa tentare di gettare ombre e discredito sulla mia persona e sull'Istituzione che rappresento. L'Ordine dei Medici come ogni ente di Diritto pubblico è tenuto ad una rigorosa contabilità; non vedo come somme quali quelle asserite possano essere state erogate senza lasciare traccia nei bilanci. Sono d'accordo col procuratore nazionale antimafia Piero Grasso che, rivolgendosi agli imprenditori, ha detto che occorre denunciare ogni forma di estorsione".
Nel provvedimento di fermo dei nove "colonnelli di Lo Piccolo", dove erano riportati i "pizzini" di Lo Piccolo junior, c'era anche una precisazione dei pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia sull'Ordine e sulle competenze territoriali nella riscossione del "pizzo" come emerso dalle indagini: "La sede dell'Ordine dei Medici insiste in questa via Rosario da Partanna, 22, e si trova, dunque, in piena zona di competenza della famiglia mafiosa di Partanna Mondello, diretta da Franzese…».
Dal 2001 la sede dell'Ordine è un antico palazzo a due piani del Settecento, Villa Magnisi, oggi in ristrutturazione (la palazzina sarà la sede di rappresentanza, un edificio accanto già ospita gli uffici amministrativi): i lavori di restauro da 1 milione 160 mila euro sono stati affidati alla "Aedars Scarls", un consorzio di 72 imprese che dovrebbe ultimarli entro l'anno.
Sono stati diversi, negli ultimi anni, i medici condannati per rapporti con la mafia. Giuseppe Guttadauro, il capo del mandamento palermitano di Brancaccio, ha scontato una condanna di nove anni per mafia e, una volta tornato libero, è stato accusato di aver pilotato nel 2001 la candidatura di un suo protetto alle regionali. Reato per cui è stato ri-arrestato e ri-condannato.
Mimmo Miceli (il "protetto" di Guttadauro), ex assessore comunale alla Sanità dell'Udc, è stato condannato a 8 anni per concorso esterno in associazione mafiosa: la sua candidatura, si legge nella motivazione della sentenza, è stata decisa da Guttadauro e dal presidente della Regione Siciliana, Totò Cuffaro, e mediata dallo stesso Miceli che era in rapporti con entrambi (questa ricostruzione è stata sempre respinta da Cuffaro).
Salvatore Aragona (oggi collaboratore di giustizia nell'indagine sulle "talpe" alla Procura di Palermo), è stato condannato in Cassazione nel 2002 per concorso esterno in associazione mafiosa: fabbricò un alibi al boss Enzo Brusca, falsificando la cartella clinica dalla quale risultava un intervento chirurgico il giorno in cui prese parte a un omicidio.
Antonino Cinà, il medico di Bernardo Provenzano e di Totò Riina, più volte condannato e più volte finito in carcere tra il 1993 e il 1999 (ma assolto in Cassazione dall'accusa di aver guidato il mandamento di San Lorenzo), è stato indicato come il medico che corrisponde al numero "164" trovato nei pizzini di Provenzano. Oggi, a Palermo, un altro medico, il radiologo ed ex deputato regionale di Forza Italia, Giovanni Mercadante, è sotto processo per associazione mafiosa per aver curato Provenzano durante la latitanza. Mercadante ha sempre respinto quest'accusa.

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