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I cittadini promuovono i governatori del Nord

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7 gennaio 2008


«Farai strada», ha detto qualche settimana fa don Antonio Mazzi a Roberto Formigoni mentre lo intervistava per una televisione locale lombarda. Davanti a sé don Mazzi non aveva propriamente un esordiente della politica, visto che Formigoni, classe 1947, è già stato tra l'altro vicepresidente del Parlamento europeo (dove entrò nel 1984) e deputato a Montecitorio per quattro legislature (dal 1987 al 1995).

Soprattutto, da 12 anni Formigoni è l'inquilino numero uno del Pirellone, da dove guida la Regione Lombardia con un piglio decisionista attento a non lasciarsi sfuggire nessuno dei temi caldi del dibattito. Dalle parti del centrodestra, si sa, la corsa alla leadership impone ottimi polmoni, costanza di ferro e capacità di far fruttare a lungo termine il proprio capitale politico, senza cedere alle tentazioni di un'accelerazione contro Berlusconi che può essere fatale.

E Formigoni, da questo punto di vista, può dare lezioni. Quando la vendita Alitalia agita lo spettro della crisi su Malpensa, il Governatore impiega un giorno per mettersi alla testa dell'idea di una «compagnia del Nord» che faccia base nella brughiera. E quando a Roma il federalismo fiscale si arena nelle secche del Parlamento, lui si butta lancia in resta sul «federalismo differenziato», che con proposta di legge regionale assegna alle singole amministrazioni nuove competenze e più risorse. E dalla scuola alla dote extra sugli stipendi per gli infermieri, dalle infrastrutture alle relazioni internazionali della Regione, non c'è campo in cui Formigoni non intervenga a forzare i confini dell'attività "classica" della Regione. Gli altri Governatori del Nord, in gruppo, si affannano all'inseguimento.

La stessa immagine è restituita dal Governance Poll 2007, la rilevazione di Ipr Marketing per Il Sole-24 Ore che misura il gradimento dei politici confrontandolo con quello ottenuto alle elezioni. Formigoni conferma il primato dello scorso anno, anzi guadagna un paio di punti rispetto a 12 mesi fa, e si lascia dietro Riccardo Illy, Vasco Errani, Giancarlo Galan e Mercedes Bresso, in una graduatoria che nelle posizioni di testa punta decisamente a Nord. Con le eccezioni di Maria Rita Lorenzetti, che però parte avvantaggiata da un'Umbria da sempre decisamente schierata a sinistra, e del lucano Vito De Filippo, che in due anni ha perso 13 dei 67 punti che nel 2005 lo avevano reso il Presidente di Regione più votato d'Italia.

Ma l'eccezione più vistosa a questo predominio settentrionale si incontra dalle parti di Genova, dove il 16 settembre scorso un padre separato con figlio adottivo adolescente, a bordo dell'auto di un amico che lo ospita da quando ha lasciato il tetto coniugale, imbocca contromano uno svincolo autostradale della città dove abita. La polizia lo blocca dopo circa un chilometro di gimkana tra auto che sfrecciano nella direzione opposta; lui è confuso, stressato, sovrappensiero, guida di solito poco e controvoglia, quella volta è persino uscito di casa senza documenti.

Slaccia la cintura, apre la portiera e lo riconoscono subito, è Claudio Burlando, il presidente della Regione Liguria. Non ha la patente e mostra il tesserino da parlamentare. Da allora comincia un tritacarne politico e personale che in qualche modo culmina qui, nella tabella del Governance Poll, che lo piazza all'ultima posizione nella classifica dei Governatori.

Nelle altre posizioni di coda si affollano i presidenti di Regioni con problemi di conti, a partire da quelli sanitari che impegnano i due terzi dei bilanci regionali. L'Abruzzo di Ottaviano Del Turco ha appena approvato una Finanziaria regionale che prosegue sulla strada della razionalizzazione, ma l'anno scorso il deficit sanitario ha fatto scattare fino al livello massimo le aliquote regionali di Irap e addizionale Irpef. Lo stesso è accaduto in Lazio, Molise, Campania, Sicilia, dando altrettanti colpi al favore dei presidenti regionali. La Puglia di Niki Vendola prova il tutto per tutto per evitare gli automatismi, ma anche lei si deve avventurare nel terreno minato dei rincari fiscali per chiudere il buco. E mentre il presidente Vendola vede aprirsi, almeno nel dibattito politico- giornalistico, la strada della leadership della nascente Sinistra arcobaleno, la graduatoria del favore dei cittadini lo relega a un non esaltante terzultimo gradino.

Le province
Ma il consenso può anche crollare lontano dai problemi finanziari, e per le ragioni più diverse. Ad esempio per la brutta storia che ha coinvolto Marzio Strassoldo, che ha guidato la Provincia di Udine fino al 7 dicembre scorso, quando una mozione di sfiducia votata dalla stessa maggioranza di centrodestra ha consegnato l'ente a un commissario. A far naufragare la Giunta dopo un anno di secondo mandato è stato un patto segreto fra il presidente e l'ex sindaco di Udine Italo Tavoschi.

Un patto dettagliato, scoperto dai cronisti del Messaggero Veneto, in cui con precisione notarile Strassoldo, in cambio dell'appoggio elettorale, garantiva all'ex sindaco «un incarico amministrativo della durata minima di tre anni, eventualmente rinnovabile», con «un trattamento economico pari a euro 70mila lordi annui, con oneri previdenziali a carico dell'ente Provincia». La poltrona di Strassoldo non ha resistito alle polemiche, ma ora la sua carriera politica prova a continuare alla guida di un nuovo movimento autonomista.

I più affezionati al proprio presidente di Provincia sono invece i parmigiani, che a Vincenzo Bernazzoli assegnano il 65% dei consensi, con un aumento del 9,5% rispetto all'anno scorso. Un balzo di consensi secondo solo a quello ottenuto da Renzo Masoero, spinto al terzo posto in graduatoria da un aumento del 15,2% in dodici mesi. Ma rispetto alla passata edizione, il presidente vercellese ha potuto contare sulla campagna elettorale che lo ha riconfermato alla guida della Provincia. (G.Tr.)

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