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Il business dei rifiuti: «Trasi munnizza e n'iesci oro»

di Nicoletta Cottone

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11 gennaio 2008
Mezzi pesanti dell'esercito in azione ad Afragola per liberare dai rifiuti l'ingresso di una scuola elementare e materna (Ansa/Ciro Fusto)

Intervista al procuratore nazionale antimafia aggiunto Lucio Di Pietro sui legami tra il riciclaggio e lo smaltimento dei rifiuti e le mafie


«Buttiamoci sui rifiuti: trasi munnizza e n'iesci oro». Questa celebre intercettazione di un mafioso, facilmente traducibile (Entra immondizia, esce oro), dà l'esatta misura dell'interesse della criminalità mafiosa per il business dei rifiuti. Un affare che ha preso piede, come spiega Lucio Di Pietro, procuratore nazionale antimafia aggiunto, proprio per il forte guadagno e il basso rischio, con la complicità di una legislazione soft. «Fino al 2001 - spiega il procuratore Lucio Di Pietro - si rischiavano solo qualche mese di arresto e pochi spiccioli di ammenda, visto che il traffico illecito di rifiuti era trattato come contravvenzione e non come delitto. Dunque la criminalità organizzata, che si inserisce dovunque c'è profumo di affari, trovò convenientissimo entrare nel business, tanto che alcuni clan abbandonarono il remunerativo traffico di stupefacenti per fare il loro ingresso in quello dei rifiuti». Basso rischio, soldi a palate.

Poi a Napoli fu aperto il primo procedimento contestando anche il 416-bis del Codice penale, associazione di tipo mafioso, che prevede la reclusione da 5 a 10 anni, da 7 a 12 per chi dirige l'associazione. Subito dopo i procuratori delle 26 procure distrettuali hanno iniziato a lavorare a rete, con processi impostati dal '95 su imputazioni per associazione mafiosa oltre che per traffico illecito di rifiuti e contatti continui per individuare i collegamenti fra le società. Nel 2001, poi, il Parlamento ha adottato una legge con cui il reato di gestione illecita dei rifiuti è diventato delitto e non più contravvenzione, con pene fino a 6 anni. Ora si punta all'inserimento nel codice penale del reato di associazione a delinquere finalizzata al crimine ambientale.

Accanto alle famiglie mafiose, il mondo dei rifiuti nel corso degli anni si popola sempre più di prestanome, gente senza precedenti, che agisce per conto della mafia. Un universo, descritto dal procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso nel corso di una audizione alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, fatto di imprese legali, rispettabili uomini d'affari, funzionari pubblici, operatori del settore dei rifiuti, mediatori, faccendieri, tecnici di laboratorio (per le analisi) e imprenditori del settore dei trasporti. Gente inserita nel mercato legale dei rifiuti che imbocca la via dell'illegalità, della simulazione, della corruzione, dell'evasione sistematica di ogni regola. «Molto spesso è stato accertato - dice Lucio Di Pietro - che i camorristi imprenditori si offrivano alle ditte del Nord di smaltire i rifiuti speciali e tossico-nocivi a prezzi stracciati, smaltendoli poi illegalmente nei territori campani».

I metodi per gestire i rifiuti pericolosi sono tanto fantasiosi, quanto criminali: i rifiuti vengono abbandonati in zone poco frequentate o nascoste, trasformandole in discariche a cielo aperto, scaricati in mare o nei corsi d'acqua, mischiati ai rifiuti urbani o spalmati sui terreni come fertilizzanti. Con tanta gente che, inconsapevolmente, si è trovata a vivere in zone ad alto inquinamento, con gravi rischi per la salute. «Le indagini hanno accertato - spiega Lucio Di Pietro - che sono stati sversati fanghi da depurazione su terreni agricoli, poi tombati, inquinando anche le falde acquifere. Terreni nei quali i proprietari erano conniventi o costretti. Nessuna attenzione al fatto che i prodotti agricoli o il foraggio poteva così essere inquinato. Sembravano campi ben concimati. Negli anni, insomma, la Campania è diventata una sorta di pattumiera gestita dalle organizzazioni criminali tramite prestanomi, prevalentemente impegnati in società di trasporto, smaltimento, stoccaggio». Poi il business nel dorato mercato dei rifiuti urbani, il che spiega perché oggi la camorra si insinua nella protesta degli onesti cittadini. «Da una parte l'interesse a strumentalizzare la protesta - spiega Di Pietro - dall'altra il tentativo di inserirsi nel nuovo business dell'eliminazione delle tonnellate di mondezza dalle strade. Addirittura nei siti tombati la camorra è già impegnata nell'inserirsi nelle bonifiche. Questa è la camorra finanziaria, la camorra imprenditrice, dove sotto prestanome operano una serie di società in tutti i settori».

La Campania risulta, secondo i dati dello scorso anno, la prima Regione in Italia in relazione alle infrazioni accertate e ai sequestri operati. Delle 42 inchieste aperte in base all'articolo 53-bis del decreto Ronchi, ben 14 riguardano la Campania e sono dirette dalle procure di Napoli, Nola e Santa Maria Capua Vetere. È la provincia di Caserta quella sulla quale si concentra di più l'interesse della camorra. Accanto a questo c'è un grosso mercato internazionale dei rifiuti, che viaggiano in Europa e solcano le acque con navi e container che partono di soppiatto per Hong Kong e distribuiscono veleni in Cina. Le bolle riportano voci tranquillizzanti, come «materia prima». Le imprese oneste e le discariche pagano per lo smaltimento di un container con 15 tonnellate di rifiuti pericolosi circa 60mila euro, mentre per lo stesso quantitativo lo smaltimento illegale d'Oriente chiede 5mila euro. Secondo Legambiente più del 90% dei rifiuti che arrivano in Cina finisce nel circuito illegale dei piccoli villaggi della costa, dove smantellamento e recupero dei materiali avviene senza precauzioni in garage, per strada o negli orti. Non è difficile immaginare le conseguenze per la salute e per l'ambiente e la portata dell'affare per i clan.

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