Il Tar del Lazio ha accolto il ricorso di un gruppo di associazioni, fra le quali Madre
Provetta, Amica Cicogna e Warm, annullando per eccesso di potere le linee guida sulla fecondazione medicalmente assistita, la
legge 40. In particolare la parte contestata riguarda il divieto di diagnosi preimpianto agli embrioni contenuto nelle linee guida. Il tribunale amministrativo ha anche chiesto alla Consulta di pronunciarsi sulla costituzionalità della legge 40.
I giudici amministrativi hanno spiegato che «la predeterminazione del numero degli embrioni producibili e successivamente impiantabili, imposta dalla norma in modo aprioristico e a prescindere da ogni concreta valutazione del medico curante, sulla persona che intende sottoporsi al procedimento di procreazione medicalmente assistita, appare rivelarsi non in linea con quel bilanciamento di interessi (tutela dell'embrione-procreazione) che la legge 40 sembra voler perseguire». Il Tar afferma inoltre che la fecondazione assistita «è un trattamento sanitario, vale a dire una pratica terapeutica per sopperire ad alterazioni dell'organismo». Dunque le «disposizioni sembrano incorrere in un contrasto con il diritto alla salute sancito dall'articolo 32 della Costituzione».
Nel mirino anche «il divieto della crioconservazione degli embrioni». Perchè, spiega il Tar del Lazio, «nell'ipotesi tutt'altro che improbabile di un tentativo non andato a buon fine è necessario assoggettare la donna a un successivo trattamento ovarico, a una pratica medica - certificano i giudici amministrativi - che comporta in sè il rischio della sindrome da iperstimolazione ovarica e che trova nella legge, e non in esigenze di carattere medico, il suo fondamento». Un dettato di legge che, sempre secondo i magistrati di via Flaminia, «appare addirittura in contrasto con i principi ai quali la stessa legge 40 dichiara di volersi ispirare», cioè quello «di minore invasività», espressi dall'articolo 4 (comma 2 lettera a della norma).