Dopo due ore di faccia a faccia con Umberto Bossi, il premier in pectore Silvio Berlusconi esce sorridente da via Bellerio. L'incontro con il Carroccio è andato bene: «Assolutamente soddisfacente. Stiamo andando avanti come avevamo cominciato con le precisazioni che si dovevano avere». Concorda il Senatur: «Abbiamo trovato la quadra». L'accordo prevede anzitutto l'azzeramento della carica di vicepremier.
Per il braccio destro del Cavaliere, Gianni Letta, si prospetterebbe quindi l'incarico di sottosegretario a Palazzo Chigi (lo stesso che aveva ricoperto nel precedente Governo) mentre al leghista Roberto Calderoli il Senatur avrebbe garantito la poltrona di ministro senza portafoglio per l'Attuazione del programma e le riforme. Quanto a Bossi, l'accordo introduce un dicastero ad hoc per il Federalismo. Confermati anche Maroni all'Interno e il veneto Zaia all'Agricoltura.
Il Cavaliere ha quindi chiuso il capitolo Lega, che non poche tensioni aveva provocato anche nelle ultime ore, e adesso deve solo attendere il ballottaggio romano tra Alemanno e Rutelli per capire a chi andrà la poltrona del Welfare prenotata dall'esponente di An. Domani il responso. Nell'attesa Berlusconi incontrerà Roberto Formigoni, per definire una volta per tutte il futuro del Governatore lombardo costretto suo malgrado a rimanere al Pirellone.
La partita con Bossi però era quella che più lo preoccupava. Il Senatur aveva chiesto a Berlusconi un chiarimento prima che si arrivasse (martedì) in Parlamento, facendo sapere che, in caso contrario, avrebbe potuto anche votare i candidati della sinistra alla presidenza delle due Camere. Un'ipotesi «iperbolica» che ha spinto il leader del Pdl a varcare dopo 14 anni il portone della sede della Lega Nord di via Bellerio: «Siccome Bossi è venuto da me tantissime volte, ho ritenuto, già che ero in movimento, di andare io da lui».
Un gesto di buona volontà che ha certo contribuito a riportare il sereno tra il Carroccio e il leader del Pdl (l'incontro inizialmente si sarebbe dovuto tenere a Montello, in provincia di Bergamo dove erano attesi ambedue per la visita a un impianto di riciclaggio dei rifiuti da esportare in Campania). Così quando Berlusconi, assieme ad Aldo Brancher e al fidato Valentino Valentini, ha raggiunto nel primo pomeriggio Bossi, ad attenderlo in via Bellerio c'era tutto lo stato maggiore della Lega. Accanto al Senatur c'erano infatti Maroni, Calderoli e il futuro capogruppo alla Camera delle camicie verdi Roberto Cota. Il nodo da sciogliere era soprattutto quello di Caderoli, candidato alla vicepresidenza del Consiglio. Berlusconi non lo voleva a Palazzo Chigi, per di più con un ruolo pari a quello in cui avrebbe voluto il fidato Letta. «Il Quirinale ha espresso perplessità», aveva fatto sapere ai leghisti il futuro premier ma Bossi, dopo una telefonata chiarificatrice con il Capo dello Stato, aveva capito che non era dal Colle che arrivavano i veti sull'esponente leghista: «La verità – si era lasciato scappare il leader del Carroccio sulla Prealpina – è che Berlusconi tergiversa un po e con Letta cerca di fare qualche vecchio giochetto democristiano...». In realtà anche per Bossi (come ben sapeva il Cavaliere), l'affaire Calderoli era più un problema di rapporti di forza all'interno della Lega che di pesi e contrappesi con gli alleati. Con Maroni al Viminale, Zaia all'Agricoltura (inevitabile dopo la performance leghista in Veneto) e Castelli in pole position come prossimo Governatore lombardo, l'esuberante Calderoli sarebbe stato l'unico dei colonnelli a rimanere fuori squadra. E Bossi non poteva permetterlo. Il risultato è che il ministero delle Riforme (inizialmente attribuito al solo Senatur) è stato sdoppiato in due: il federalismo a Bossi e il resto, compresa l'attuazione del programma di governo, a Calderoli che forse così tornerà ad occuparsi del suo Porcellum, l'attuale legge elettorale su cui pende il referendum.