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Occasione che il Paese non può mancare

di Franco Locatelli

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23 MAGGIO 2007


Tornare al futuro, adesso o mai più. Il cielo sa quanto contino l'orgoglio di chi fa impresa e l'orgoglio di essere italiani, ma per voltare pagina la coscienza della nuova e forse irripetibile occasione di rinascita che il Paese ha di fronte e la volontà di non sprecarla possono fare la differenza. È un messaggio pieno di realismo e di concretezza ma anche e soprattutto di fiducia e di ragionevole ottimismo quello con cui Emma Marcegaglia, la prima donna alla guida della Confindustria, ha disegnato, nell'assemblea di ieri all'Auditorium di Roma, la missione che attende gli imprenditori italiani sotto la sua nuova presidenza.

La Marcegaglia non ha nascosto la soddisfazione per i traguardi, addirittura impensabili, raggiunti in questi anni dal made in Italy ma, con altrettanta chiarezza, è andata subito al cuore dei problemi sostenendo, senza mezzi termini, che «la vitalità delle nostre imprese non è sufficiente ad assicurare lo sviluppo e a compensare da sola la scarsa competitività del Paese» che affonda le sue radici nelle debolezze del sistema. Ecco perché l'impresa guarda al di là dei cancelli della fabbrica, non coltiva disegni autoreferenziali o neo-corporativi, ma è fortemente interessata alla modernizzazione del sistema e a fare la sua parte sapendo che il primato della politica non è in discussione ma che la politica deve meritarselo. Ed ecco anche perché gli imprenditori sono ben disposti al dialogo con i sindacati, nella speranza che le rappresentanze dei lavoratori escano finalmente da logiche immobilistiche, e sono prontissimi a collaborare con il nuovo Governo, senza confusione di ruoli e senza rinunciare alla propria autonomia di giudizio e di azione. Tutto questo non è una scoperta dell'ultima ora ed è un patrimonio di valori e di comportamenti che gli imprenditori italiani hanno maturato e affinato nel tempo e di cui la presidenza Marcegaglia si mostra fiera di raccogliere l'eredità e di assicurare la continuità. Ma la novità c'è e non è sfuggita all'assemblea della Confindustria. È una novità che sta tutta nella consapevolezza della particolarità del momento e nella convinzione di dover raccogliere fino in fondo la sfida del rinnovamento perché «il dovere verso il futuro è nel codice genetico delle imprese e degli imprenditori » e il tempo non aspetta.

Le occasioni per riprendere le vie dello sviluppo non sono infinite e non c'è più spazio per le furbizie e per il piccolo cabotaggio. Il quadro internazionale è peggiorato e le nubi sulla crescita non mancano. Però non tutto è buio, perchè «in Italia si è creata una situazione favorevole al cambiamento» che poggia su almeno tre buone ragioni. Anzitutto «c'è un nuovo governo sostenuto da una forte maggioranza parlamentare ». Poi «c'è un clima di minore contrapposizione e di rispetto reciproco fra maggioranza ed opposizione, di collaborazione sui grandi temi» che merita di essere messa alla prova senza sconfinare nel consociativismo ma senza nemmeno ridursi al semplice bon ton. Infine, «c'è una consapevolezza diffusa della gravità della situazione », che non richiede nuove ricette ma la coerente applicazione di quelle che il Paese reclama da troppo tempo: la legalità, la riduzione delle tasse, le infrastrutture, il federalismo virtuoso e la riforma della Pubblica amministrazione e del Welfare, una politica energetica, ambientale e della sicurezza degna di questo nome. E' l'unico modo per rilanciare l'Italia in un'Europa che deve cambiare per gestire meglio la seconda fase della globalizzazione, senza erigere antistorici steccati ma difendendo in modo attivo i propri interessi e tenendo ben presente che il rifiuto del protezionismo non comporta la rinuncia al patriottismo economico.

L'insieme delle nuove condizioni politiche e l'esaurirsi del vecchio conflitto tra capitale e lavoro non ricorrono in ogni stagione politica e, quando si presentano, vanno sfruttati al meglio, con l'occhio al modello tedesco e con il pensiero rivolto soprattutto alle nuove generazioni, al Sud e alle donne, a cui la relazione di Marcegaglia ha riservato accenni innovativi e originali. Si potrà presto verificare se questo Paese è in grado di decidere e di riformarsi solo quando c'è una spinta esterna (come fu per l'euro) o quando si trova sull'orlo del baratro (come fu nei primi anni '90) o se ha finalmente capito che l'autolesionismo non porta in paradiso e che crescere meno dell'Europa non è il meglio della vita e non sta scritto nel nostro destino.

Otto anni fa un raffinato intellettuale di sinistra come Michele Salvati scrisse un saggio bellissimo sulle «Occasioni mancate » della nostra classe dirigente, che negli ultimi quarant'anni ci hanno procurato bassa crescita, un gigantesco debito pubblico, un reddito pro capite nettamente al di sotto delle nostre potenzialità. La tesi forte di quel saggio era che la «frattura politica» che ha lacerato il nostro Paese sino ad anni recentissimi «abbia avuto sullo sviluppo effetti negativi considerevoli e che «quel poco di speranza circa il futuro che è possibile nutrire in questi tempi... discenda proprio dalla definitiva scomparsa di un conflitto radicale, di uno scontro di mentalità e lealtà politiche, che ha diviso il Paese per tutto il dopoguerra ». Sembra l'anticipazione dello scenario di oggi e, se i fatti conforteranno le parole e le premesse, la classe dirigente italiana avrà finalmente l'occasione di riscattarsi. Il fatto che l'impresa voglia essere in prima fila per scommettere sul futuro e che sia pronta a modernizzare anche la propria organizzazione di rappresentanza è un buon segno, come lo è la disponibilità del Governo, espressa all'assemblea da Silvio Berlusconi e da Claudio Scajola, a raccogliere da subito lasfida del fare. E' un'occasione che non può essere sprecata e Marcegaglia, interpretando un sentimento diffuso tra le imprese e nel Paese, s'è detta fiduciosa e ottimista. Il futuro non aspetta. Adesso o mai più.

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