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Ricerca, niente fondi senza bando

di Paolo Bianco ed Elena Cattaneo

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9 maggio 2008

Ci sono cose che diventano luoghi comuni prima di diventare senso comune. La necessità di rilanciare la ricerca in Italia, il suo imprescindibile valore per la crescita economica e civile di un Paese, i rischi per lo sviluppo possibile e per il suo ancor più possibile arresto, il salmodiare unanime in difesa del merito. A leggere commenti e dichiarazioni, tale è l'unanimità, e tale l'autorevolezza degli unanimi, nel mondo politico come in quello accademico, che se ne potrebbe dedurre che si può dormire tranquilli. Invece le lamentazioni sui cervelli in fuga, sui cervelli rientrati e su quelli riusciti, sui giovani da finanziare a tutti costi (e in quanto tali) e le giaculatorie sul merito calpestato, ci risvegliano dal sonno, senza mai tuttavia accompagnarci nello stato di veglia. Accedendo al quale, dovremmo, aperti gli occhi, riconoscere alcune semplicissime e macroscopiche verità. Che ci spiegano come mai accade, quanto di male accade.
La prima è che l'Italia non ha organi centrali adeguati che definiscano le scelte strategiche in tema di scienza e tecnologia. Scelte strategiche sono quelle che identificano i grandi settori (per esempio, energia, salute, elettronica) nei quali il Paese può ambire a posizioni di leadership internazionale, e quelli su cui il Paese ha necessità di puntare in base alle sue caratteristiche e necessità di sviluppo economico. Mentre il problema è probabilmente generalizzato a tutti (o quasi tutti) gli ambiti specifici della ricerca scientifica (si veda l'intervento di Andrea Ichino sul Sole 24 Ore del 12 aprile), in alcuni settori chiave, come quello della ricerca biomedica, è così grave da essere immediatamente visibile.
Riconosciuto il valore strategico della ricerca sulle cellule staminali, ad esempio, il ministero della Salute, vara (2007) "progetti speciali" di interesse "strategico" che durano due (due, non 20) anni, e nei quali investe tre (tre, non 300) milioni di euro in base a un articolo di Finanziaria (2007). E identifica come destinatari istituzionali dei fondi che amministra, non già i destinatari naturali – ricercatori e laboratori che lavorano sul tema strategico – ma le istituzioni che ricadono nella giurisdizione ministeriale. Così, in un Paese in cui il 100% degli studiosi in tema di cellule staminali sono professori universitari, gli atenei dai progetti speciali cellule staminali sono esclusi, mentre istituti zooprofilattici e l'Istituto superiore per la prevenzione e sicurezza sul lavoro (sic) sono ammessi ai finanziamenti (per ricerche che verosimilmente non sono attrezzati scientificamente a svolgere), insieme a un arcipelago di Irccs nel quale coesistono isole di ottima produttività scientifica, isole di impressionante improduttività, e perfino galleggianti pneumatici in gurgite vasto.
Ma se Atene piange, Sparta non ride. Il Miur ha destinato negli anni parte delle risorse per la ricerca scientifica secondo un modello top-down. Vuol dire finanziare temi (e ricercatori) scelti dal ministero, limitando accesso, competizione, originalità e libertà scientifica, e incoraggiando il negoziato diretto tra ricercatori e organi ministeriali, e ogni sua possibile degradazione lobbistica. Se si volesse indicare il più vistoso esempio della distanza tra il sistema di finanziamento negli Stati Uniti e quello italiano, sarebbe forse proprio questo. Dunque, in un Paese che non compie scelte strategiche se non quella di limitare l'accesso ai finanziamenti e la libera innovatività, scelte vincolanti sono tuttavia lasciate alla politica. Scelte magari definite pomposamente «strategiche» a loro volta, ma estemporanee quanto temporanei sono gli orientamenti politici e lo stesso personale politico di un ministero.
Strategiche le cellule staminali un anno, saranno dunque strategiche le nanotecnologie l'anno dopo, e ogni strategica strategia, definita non si sa dove né da chi, durerà non più di anni tre. Così, la politica (minuscola) occupa il vuoto determinato dall'assenza di una politica (maiuscola) scientifica stabile e di respiro, ma non lo colma.
La seconda è che l'Italia, nonostante la pletora di soggetti pubblici che distribuiscono denaro, non ha organi adeguati per l'amministrazione della scienza. Ridotto all'asfissia il Cnr, che nella concezione e nel rapporto con gli organi dello Stato era ispirato a un principio moderno e funzionale, il denaro per la ricerca biomedica prende almeno 22 strade diverse (due ministeri almeno, più 20 Regioni) tra il governo e i laboratori di ricerca. Lungo ognuna delle 22, il codice della strada (le scelte e le regole in base alle quali i finanziamenti sono determinati ed erogati) è diverso. E lungo ognuna delle strade, il codice cambia col cambiare degli uomini. Tutto questo è possibile se mancano, come mancano, un orientamento strategico e un principio comune. È possibile se manca, come manca, un organo centrale con compiti di direzione strategica della ricerca nel Paese, e che rappresenti la vera (e unica) e necessaria interfaccia tra politica e scienza, che non deve essere invasivamente dispersa e atomizzata, come è in Italia, entro il territorio autonomo della ricerca.
La terza è che in Italia sono sconosciute le procedure di valutazione anonima, terza, competente e indipendente in base alle quali la scienza va finanziata. Troppo spesso confusa con il semplice ricorso a revisori anonimi, e troppo spesso confusa con lo strumento con il quale difendere il merito (come se fosse interesse dello Stato tutelare i "bravi", e non tutelare se stesso attraverso la promozione della migliore scienza possibile), la peer review (il sistema di valutazione autonoma, competente e indipendente, della scienza da parte della scienza) è insieme un principio di autonomia della scienza che ne assicura il successo, una garanzia di trasparenza per la pubblica amministrazione, e un sistema di procedure e norme definite nel dettaglio, che si incarnano in organismi e strutture per la loro corretta e vigilata applicazione. Senza le quali, nessuna valutazione anonima di progetti e studi si salva dal rischio di ridursi a una nostrana "anonima valutazioni".
  CONTINUA ...»

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