Non c'è solo il rinnovo del modello contrattuale. La sfida a cui sta pensando il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, va ancora oltre e riguarda a tutto tondo i rapporti tra imprese e lavoratori. Niente più conflitto, ma un sistema cooperativo di rapporti sindacali. A vantaggio di tutti, dipendenti e datori di lavoro.
Sacconi ha già lanciato il sasso, con la proposta dell'ingresso dei lavoratori nell'azionariato aziendale. Ma c'è un'altra direzione su cui muoversi, prevista dalla legge Biagi che il ministro del Welfare ha contribuito a realizzare e che oggi vuole applicare in tutti i suoi articoli, come ha già detto più volte: far decollare gli enti bilaterali, organismi sparsi sul territorio, costituiti dai datori di lavoro e dai sindacati. Organismi volontari, che hanno il compito di occuparsi del mercato del lavoro territoriale, offrire servizi, a partire dalla formazione, dalla salute e dalla sicurezza.
«L'ente bilaterale lavora in una logica di sussidiarietà. Sono un presidio sul territorio: un'entità che si colloca tra contratto nazionale e quello aziendale, non come un terzo livello, ma come una realtà che eroga servizi, una sede decentrata di relazioni sindacali», dice Michele Tiraboschi, docente di diritto del lavoro e relazioni industriali a Modena, strettissimo collaboratore di Biagi ed esperto del ministero.
Ma in questa fase, in cui partirà la trattativa per rivedere il modello contrattuale, gli enti bilaterali potrebbero rendere più facile un accordo. Nonostante le dichiarazioni di disponibilità da tutte e due le parti, il negoziato parte in salita. «Non siamo fessi», è stata la risposta di Emma Marcegaglia, la nuova presidente di Confindustria, alle dichiarazioni del numero uno Cgil, Guglielmo Epifani, sull'indicizzazione dei salari. Ma c'è di più: la Marcegaglia ha già detto no alla contrattazione territoriale, chiesta dai sindacati per estendere il secondo livello, oggi ancora poco diffuso.
Gli enti territoriali, secondo Tiraboschi, potrebbero fare da cuscinetto: potrebbero definire i regimi di orari, oppure stabilire deroghe ai contratti nazionali per esempio in situazioni di crisi. E non si tratterebbe di un terzo livello di contrattazione, ipotesi temuta e contestata dagli imprenditori.
Bisognerà vedere fino a dove si spingerà la nuova presidenza di Confindustria nella ricerca del dialogo e della collaborazione con il sindacato. La Marcegaglia, nel discorso di investitura, ha affermato di voler superare la cultura antagonista, il conflitto tra capitale e lavoro, «che ha segnato la storia negli ultimi 150 anni». Ma ha subito bocciato l'idea del ministro Sacconi della partecipazione dei lavoratori al capitale d'impresa come nuova frontiera delle relazioni sindacali. Ma anche nel sindacato, ad esclusione della Cisl, ci sono resistenze per allargare il raggio degli strumenti di partecipazione, percepiti come uno strumento per introdurre una flessibilità incontrollata dei salari. Per Sacconi non è una posizione nuova: già nel 2007, nel corso della passata legislatura, il ministro del Welfare aveva presentato un disegno di legge sull'azionariato dei dipendenti. E nella relazione aveva scritto, rifecendosi a risoluzioni del Parlamento europeo, come la partecipazione dei lavoratori, a prescindere dai modelli utilizzati, rafforzi l'attaccamento dei dipendenti all'impresa e si traduca in un aumento della produttività e dell'occupazione.
Un decollo degli enti bilaterali, previsti dalla Biagi, si inserirebbe in questo quadro. Alcuni settori, sottolinea Tiraboschi, hanno già esperienze consolidate e ben funzionanti: per esempio il commercio, il turismo e l'artigianato, dove c'è una predominanza di imprese piccole e dove l'ente bilaterale funziona come erogatore di servizi, promozione di buone pratiche, svolge ruoli anche di tipo autorizzativo e certificatorio, migliorando il funzionamento del mercato del lavoro. Anche nell'industria gli enti bilaterali esistono, dedicandosi soprattutto alla formazione. Bisognerebbe far fare a tutti un salto di qualità.