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Nucleare ma in scala europea

di Marcello Inghilesi

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17 giugno 2008

Si fa presto a dire «nucleare». Ci sono alcune premesse doverose. «Pietà l'è morta», recitava un vecchio adagio dell'ultima guerra. Passata la pietà, ora sembra morta l'umiltà: da tempo molti, moltissimi pontificano sull'argomento nucleare, dicendo bestialità, normalmente interessate a beghe di parte o di villaggio o di potere, grande o piccolo che sia. I poveri e pochi italiani che hanno studiato professionalmente la materia sono ormai rossi di vergogna.
Al G8, gruppo degli Stati più industrializzati del mondo, siamo gli unici che non solo non hanno più centrali elettronucleari, ma che le hanno anche spente (dopo aver maltrattato gli austriaci, che qualche anno prima, avevano dato il buon esempio, gettando dalla finestra, tecnologie, "saper fare" e decine di miliardi di euro).

Una volta laurearsi in Ingegneria nucleare era un titolo di grande merito. Il settore nucleare dell'Enel o dell'Enea (ex Cnen) era costituito da cervelloni; dopo la decisione della chiusura del nucleare, questo patrimonio umano fu buttato in aria. Gli ingegneri nucleari continuarono a lavorare come clandestini e a tenersi per mano al buio.
La settimana scorsa il professor Maurizio Cumo, direttore del dipartimento Energia nucleare alla Sapienza, è stato nominato presidente della European Atomic Energy Society. Curioso! Nell'Europa nucleare il massimo riconoscimento è andato a uno scienziato di un Paese nemico del nucleare! Questo vuol dire però che in Italia sono rimasti cervelli capaci di lavorare in questo settore, riprendendo una tradizione che ha visto l'Italia, dopo la guerra, tra i primi Paesi impegnati per lo sviluppo dell'atomo pacifico.

La proposta del Governo è ora di riaprire rapidamente i cantieri per costruire centrali nucleari di terza generazione. Contro questa proposta si sono già schierati diversi gruppi. Gli anti-nucleari, tout court. Quelli che dicono che forse è meglio aspettare i reattori di quarta generazione. Oppure che l'Italia non è Paese adatto all'installazione di centrali nucleari. Oppure che il nucleare è troppo caro. Oppure che il nucleare «inquina». Oppure che il minerale di uranio, da cui deriva il combustibile nucleare, è in via di esaurimento. I filo-nucleare sostengono che tutte queste argomentazioni sono o infondate o inconsistenti o risibili.
La mancanza di umiltà di fronte al sapere, continua, anzi si aggrava, perché il sapere in materia è in continua evoluzione. Cerchiamo di capire qualcosa su questa storia delle «generazioni» dei reattori nucleari, oltretutto fortemente contestate, in questa loro evoluzione generazionale, da alcuni movimenti ecologisti, come l'«uscire dal nucleare».

La prima generazione, tra il 1950 e il 1970 circa, è stata quella dei prototipi, del passaggio dall'atomo per l'energia esplosiva a quello per l'energia produttiva. Si costruirono anche alcuni impianti di produzione elettrica, come il Magnox in Gran Bretagna (50 MW, 1953, Calder Hall) o l'Ungg in Francia (Chinon 1, 70 MW, 1957): in Italia la centrale di Latina (1957, 210 MW) era la più grande d'Europa.
La seconda generazione di centrali nucleari si è sviluppata tra il 1970 e il 1998 circa: si tratta di centrali elettronucleari ormai tradotte in veri e propri impianti industriali complessi, tuttora in gran parte in funzione. Questi impianti in sostanza hanno presentato almeno due punti deboli: la mancata sicurezza totale o intriseca nell'impianto, contro incidenti eventuali, capaci di dar vita a fuoriuscite radioattive (caso di Chernobyl); l'eliminazione totale delle scorie radioattive, di risulta dal combustibile usato nelle centrali. Gli industriali nucleari hanno sempre sostenuto che questi due punti presentano un livello di rischio del tutto trascurabile e che esiste una capacità tecnologica ormai sufficiente per dominare questi potenziali pericoli.

La terza generazione nasce all'inizio del 2000 e punta a ridurre drasticamente i rischi derivanti dai due problemi sopra citati. In Europa è dominante la tecnologia francese dell'Epr e negli Usa, le filiere Abwr e Ap-1000. Diversi impianti di questa nuova generazione sono attualmente in costruzione (Francia, Cina, Finlandia) e altri in progettazione (Usa, Gran Bretagna e Cina).
L'Epr ha una taglia di 1600-1660 MW (quindi più elevata dei 1000 MW di prima) e cerca sostanzialmente di ridurre il costo del KWh, attraverso l'aumento di potenza installata, un maggior rendimento derivato da un nuovo combustibile, una vita tecnica più lunga per gli impianti (60 anni); di «confinare» drasticamente, con impianti e tecnologie, il cuore del reattore, per eliminare la possibilità di fughe radioattive; di migliorare la combustione, per ridurre la quantità di scorie radioattive (dal 15 al 30%), che poi dovrebbero essere eliminate.
La quarta generazione dei reattori è attualmente allo studio di un Forum internazionale, promosso dagli americani, su sei filiere diverse. Quali gli obiettivi? Essenzialmente due: arrivare alla totale sicurezza intriseca del reattore (il reattore si spegne automaticamente, in caso di incidente o mal funzionamento dell'impianto); eliminare il problema delle scorie, attraverso un loro riutilizzo in nuovi processi di combustione (qualcosa del genere veniva fatto con Superphénix, a Creys Malville, impianto a partecipazione francese, italiana e tedesca).

  CONTINUA ...»

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