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Bossi insiste: «Inno di Mameli? Meglio la canzone del Piave»

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21 luglio 2008

«A me l'Inno di Mameli non è mai piaciuto, fin dai tempi della scuola, preferisco la canzone del Piave...quella che fa "Il Piave mormorava calmo e placido...".Quella è una canzone di popolo, è più vicina alla Marsigliese»: lo ha detto il ministro delle Riforme, Umberto Bossi, interpellato sulle polemiche al suo gesto di ieri a Padova. Il leader lumbard Umberto Bossi proprio ieri aveva giurato fedeltà al Cavaliere sulla giustizia, aperto al dialogo con l'opposizione, ma poi era esploso in un gestaccio rivolto all'Inno nazionale, attaccando poi a tutto campo i professori del Sud. Il tutto approfittando del clima offertogli dal congresso della Liga Veneta-Lega Nord.

«Adesso sono tutti pronti a saltar su una cosa così, detta davanti a una platea come quella veneta che è calda, nella concitazione del momento - ha precisato il leader della Lega - ma certamente a me l'inno di Mameli non piace. Il poeta usò questa frase, schiava di Roma che non ho mai sopportato...il problema è sul contenuto, non sull'inno in quanto inno d'Italia. Proprio non mi piacciono le parole dell'inno e l'ho sempre detto. Quella parola, schiava, non la sopporto. Noi siamo per abolirla, la schiavitù, in ogni sua accezione. E così ho anche detto che il nord, la Lombardia, il Veneto mica possono essere schiavi di qualcuno. E allora perché non usare come inno quella canzone del Piave che mi ha sempre commosso? Quella è popolare, trascinante, somiglia, come intonazione e come senso patriottico, alla Marsigliese».

Gli strali contro l'inno di Mameli. L'antefatto. «Non dobbiamo più essere schiavi di Roma. L'Inno dice che "l'Italia è schiava di Roma...", toh! dico io». Questa la frase incriminata che Umberto Bossi ha pronunciato a Padova, con il dito medio levato. «Dobbiamo lottare contro la canaglia centralista. Ci sono quindici milioni di uomini disposti a battersi per la loro libertà. O otterremo le riforme, oppure sarà battaglia e la conquisteremo, la nostra libertà». Poi insiste. «Dobbiamo lottare contro questo stato fascista. È arrivato il momento, fratelli, di farla finita». E sempre sul progetto di federalismo, il leader del Carroccio ha detto di non essere contrario alla perequazione tra regioni più ricche e quelle più povere. «Ma deve essere una perequazione giusta non come è adesso, dove chi più spende, più ha soldi dallo Stato. È una truffa, è uno schifo». Il Senatur annuncia battaglia anche sui trasferimenti assegnati in base alla spesa storica: «Anche questa della spesa storica - ha spiegato - intendo toglierla di mezzo con il federalismo». «Il federalismo - ha concluso Bossi - non è solo la storia mia, è la storia nostra. Non lo farò soltanto io ma milioni di persone».

Riforme: con l'opposizione c'è spazio per il dialogo. Tornando alla calda serata padovana Umberto Bossi ha ripetuto che sulle riforme «c'è spazio per il dialogo con l'opposizione» (salvo attirarsi dure repimende dal versante del Partito democratico, a cominciarre dal segretario Walter Veltroni che ha chiesto a Fini e Schifani una condanna esplicita «verso gesti contro il simbolo dell'unità nazionale», ndr). Il leader della Lega si è detto pronto ad accogliere le proposte dell'opposizione anche sul federalismo. «Da parte nostra - ha aggiunto Bossi - non ci sarà una chiusura al Pd e a Veltroni».

Stop in Padania ai prof del Sud. Dopo il federalismo, dice Bossi, bisogna passare anche alla riforma della scuola. «Non possiamo lasciare martoriare i nostri figli - ha detto - da gente che non viene dal Nord. Il problema della scuola è molto sentito perché tocca tutta la famiglia». Poi parte il riferimento velato alla vicenda del figlio Renzo, bocciato alla maturità scientifica, nonostante la tesina su Carlo Cattaneo e il federalismo. «È la verità - ha spiegato - un nostro ragazzo è stato bastonato agli esami perché aveva presentato una tesina sul federalista Carlo Cattaneo». «La Padania - ha aggiunto Bossi - ormai è nel cuore di tutti. Noi ai bambini insegniamo fin da quando nascono che non siamo schiavi e non lo siamo mai stati». (N.Co.)

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