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Visite fiscali obbligate a caro prezzo per la Pa

di Davide Colombo

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19 LUGLIO 2008

La visita fiscale obbligatoria per tutti i dipendenti pubblici assenti anche per un solo giorno di malattia, rischia di trasformarsi in un boomerang per le amministrazioni. La circolare diffusa l'altro ieri dal Dipartimento della Funzione Pubblica prevede in effetti una deroga sui controlli «quando un eccezionale carico di lavoro o urgenze della giornata » impediscano ai medici di effettuarle. Ma immaginando che tutte le richieste di controllo fatte dai capi ufficio possano essere evase, si scopre che la direttiva partita da Palazzo Vidoni (che interpreta l'articolo 71 del decreto legge 112/2008) potrebbe far esplodere le spese.

In attesa di stime ministeriali più precise, proponiamo un calcolo che parte dai dati sul personale della Pa contenuti nel Conto annuale della Ragioneria generale dello Stato, aggiornati al 2006. In quell'anno i circa 3 milioni di dipendenti pubblici a tempo indeterminato avevano messo a segno 16 giorni medi (pro capite) di assenza per malattia. Visto che ogni visita fiscale ha un costo medio di 35 euro per il datore di lavoro che la richiede (40 euro se effettuata a casa del dipendente e 30 euro se fatta in ambulatorio), se quei 16 giorni medi coincidessero con altrettante assenze per malattia della durata di sole 24 ore, la spesa annua per controllare i circa tre milioni di dipendenti pubblici sarebbe di poco superiore al miliardo e 700 milioni. Se, com'è invece assai più verosimile, si immagina che dietro i 16 giorni di assenza pro capite ci siano tre malattie annue della durata variabile tra i 5 e i 6 giorni, la spesa per un controllo a tappeto scenderebbe a 315 milioni di euro.
Il Servizio sanitario nazionale non dispone di dati di flusso sulle visite fiscali effettuate in Italia. Il dato si ferma alle singole Regioni e in realtà particolarmente rappresentative come quella della Capitale (si vede l'articolo qui sotto) solo in un caso su quattro viene effettuata la richiesta di controllo su un'assenza per malattia. Il trend delle assenze riportato dalla Ragioneria nel triennio 2004-2006 racconta una riduzione del fenomeno del 20% secco (da 20,2 giorni a 16,2) con casi di significativa riduzione in settori come la Sanità (-33%) o le Regioni a statuto speciale o le Province autonome (-52%).

A compensare le spese in più che la Pa dovrebbe affrontare per i controlli, vale ricordarlo, ci sono le disposizioni sul trattamento economico del dipendente assente che, nei primi 10 giorni, si riduce alla parte «fondamentale » dello stipendio con l'esclusione di ogni indennità o trattamento accessorio. Una misura che prende di mira i falsi malati e che, ieri, è stata nuovamente criticata dai sindacati. In una nota congiunta, i responsabili della funzione pubblica Cgil, Cisl, Uil e Cisal hanno sottolineato che la penalizzazione dello stipendio accessorio «non per i primi 10 ma per i primi 15 giorni di assenza per malattia» esiste già dal 1994, anno in cui vennero stipulati i contratti di lavoro di tipo privatistico per gli statali, con il ministro della Funzione Pubblica Franco Frattini.
I sindacati non gradiscono un'impostazione normativa tesa a «moralizzare il comportamento dei lavoratori del settore pubblico ».E colgono l'occasione della circolare firmata dal ministro Renato Brunetta per tornare a contestare le offerte fatte in sede Aran, all'inizio della settimana, per il rinnovo del biennio contrattuale 2008-2009. «Il datore di lavoro Governo – si legge nella nota - fa un'offerta che si basa su un'inflazione programmata all'1,7%», mentre per il ritocco delle tariffe di luce, acqua e gas, «l'indice tendenziale preso a riferimento è del 3,8%». Sulla vicenda, ieri è intervenuto anche il segretario della Uil, Luigi Angeletti, che dopo aver ribadito di non essere mai stato difensore degli assenteisti, ha spiegato che per modificare atteggiamenti e comportamenti dei dipendenti pubblici non basta una nuova legge.

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