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Sette scenari diversi ma i conti tornano

di Jacopo Giliberto

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18 ottobre 2008

La battaglia dei numeri nasce da un solo documento, quello emanato dalla Commissione europea dopo mille insistenze italiane. Quanto costa il pacchetto "clima ed energia"? Dice l'Italia: nell'ipotesi migliore, non meno di 18 miliardi di euro l'anno (escluse le altre spese indotte). Replica la Ue che l'Italia ha scelto lo scenario più severo tra i sette elaborati nelle stime europee. Il più severo oppure l'unico che può essere usato?
Per mesi la Commissione aveva proposto ai Paesi europei un paio di stime sommarie. Dopo settimane di pressione italiana sull'analisi dei costi, la Commissione ha elaborato un documento che si basa su un modello accreditato, il cosiddetto Primes, con sette diversi scenari. Buona parte di questi scenari profigurano costi contenuti, ma raggiungono solo una parte (tra il 40 e il 60%) dell'obiettivo energetico e ambientale europeo.

Scenari onerosi
Gli unici due scenari tratteggiati dalla Ue che si avvicinano all'obiettivo si chiamano «Proposta della Commissione europea con commercio di fonti rinnovabili» e «Proposta della commissione europea senza commercio di rinnovabili».
Nel primo caso, l'Italia dovrebbe sostenere il 19,7% del sovraccosto complessivo dell'Europa, quando invece non rappresenta che il 12,7% del prodotto interno lordo (Pil) europeo. Il peso sul nostro Pil nazionale sarebbe un devastante 1,14%, terzo in Europa dopo l'1,59 del minuscolo Pil Lettone e l'1,3 del Pil spagnolo. La Francia, che rappresenta più del 15% del prodotto interno lordo europeo, ha un sovraccosto del 14,9% rispetto ai sovraccosti totali europei, la Germania addirittura (20% della ricchezza europea) paga un lieve sovraccosto pari al 13,2% del totale europeo.
Secondo scenario europeo, quello che conta anche gli scambi di energia da fonti rinnovabili. Anche qui il salasso italiano è pesante. L'Italia scende in sesta posizione per sovraccosto in rapporto al Pil, ma il peso percentuale della sola Italia sull'intero sistema Europa salirebbe al 20,5%. Ben un quinto abbondante dei sovraccosti europei per un Paese, l'Italia, che è pari a un ottavo del Pil della Ue. Si tratta di previsioni che – come rileva Corrado Clini, direttore generale del ministero italiano dell'Ambiente e negoziatore internazionale – non si discostano in maniera significativa da quelle che, in assenza di dati ufficiali Ue, erano state elaborate dal ministero e dal centro ricerche Rie di Bologna. Collocavano i costi del pacchetto fra i 20 e i 23 miliardi l'anno. Un dato analogo arriva da Confindustria, secondo la quale «il solo sistema industriale italiano sarebbe chiamato a pagare una nuova tassa superiore ai 20 miliardi di euro all'anno, una cifra superiore all'1,5% del Pil».

L'ambiguità
C'è anche un'ambiguità. I dati presentati per un anno e mezzo dall'Italia sono quelli esaltanti del Governo Prodi, proposti sullo scenario internazionale dall'allora ministro dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio: un programma sontuoso di investimenti nelle fonti rinnovabili di energia che delineava per gli anni a venire il conseguimento di risultati invidiabili. L'aveva ripetuto più volte lo stesso Romano Prodi agli incontri al vertice: grazie al fotovoltaico – pronosticava – l'Italia non avrà problemi con il Protocollo di Kyoto.
Quei dati con risultati strepitosi nel ricorso alle fonti rinnovabili continuano a essere usati. Basti per tutti il documento presentato giovedì dall'Agenzia europea dell'ambiente sull'adesione dei Paesi al Protocollo di Kyoto. L'Italia dovrebbe ridurre entro quattro anni le emissioni del 6,5% rispetto alle emissioni di anidride carbonica del 1990. L'Italia è lontana del 14% da quell'obiettivo, ma contando i programmi annunciati entro il 2010 l'Italia sarà a ridosso della riduzione di Kyoto, con un divario di appena il 2%. Parola dell'Agenzia europea dell'ambiente sulla base dei vecchi e irrealizzabili programmi italiani. In un paio d'anni da oggi l'Italia ridurrà le sue emissioni del 12%, quelle emissioni che finora sono salite a perdifiato.

Efficienza record
C'è un'ultima considerazione, l'efficienza energetica. Povera di materie prime, l'Italia ha sempre avuto un sistema industriale poco sprecone. Cioè, molto efficiente. A titolo di esempio, le centrali elettriche a ciclo combinato a metano, che costituiscono il nerbo della produzione elettrica italiana, hanno efficienze medie sopra il 50%. Una classica vecchia centrale polacca a lignite ha rendimenti attorno al 25%, e manda fuori dalla ciminiera il 75% del calore prodotto. I dati dell'Agenzia internazionale dell'energia sono indicativi: per rendimento energetico l'Italia è seconda in Europa alle spalle dell'Irlanda. In un'unità di Pil italiano pari a 2 milioni di dollari (dice l'Aie) è contenuta energia pari ad appena 0,12 tonnellate di petrolio, meno che in Cambogia (0,14) e alla pari del Marocco, e la metà dell'energia necessaria a produrre la stessa quantità di Pil negli Stati Uniti (0,21 tonnellate) e un terzo dell'Islanda (0,36 tonnellate di petrolio per produrre 2 milioni di dollari).
Alzare il rendimento e abbassare le emissioni in Italia ha un costo marginale assai più salato rispetto agli altri Paesi.

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