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Blitz contro la 'ndrangheta

di Roberto Galullo

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13 ottobre 2008
Carlo Martelli, sindaco di Rosarno - RC (Ansa)
DOCUMENTO / L'ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria

GIOIA TAURO (RC) – Appalti e affari per l'ndrangheta della Piana di Gioia Tauro si legano grazie a un cemento formidale: la politica corrotta. Nelle 371 pagine dell'ordinanza che ieri, dopo l'operazione dello scorso luglio, ha portato tra gli altri all'arresto per concorso esterno in associazione mafiosa dell'ex sindaco di Gioia, Giorgio Dal Torrione, del suo vice Rosario Schiavone e del sindaco di Rosarno Carlo Martelli, la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria traccia un filo rosso trentennale di corruzione e criminalità. Nulla è cambiato nella Piana: le cosche dominavano e le cosche, ancora oggi, dominano. Non solo con i ripetuti tentativi di infiltrarsi nel Porto, ma anche e soprattutto condizionando il rilascio delle concessioni commerciali e l'affidamento dei lavori pubblici: a partire da quelli programmati sulla Salerno Reggio Calabria e sulla Statale 111.
In questo quadro passa perfino in secondo piano l'arresto di Gioacchino Piromalli, classe 69, che era riuscito addirittura a trovare il modo per diventare consulente dei Comuni di Rosarno,San Ferdinando e Gioia grazie a una delibera fotocopia che sembra scritta sotto dettatura.
Fino a maggio di quest'anno il municipio di Gioia Tauro poi sciolto per mafia ha offerto un tetto a ogni tipo di affare legato agli interessi della "supercosca" Piromalli (come la definisce testualmente l'ordinanza). A partire dagli appalti. Per favorire le imprese vicine alla supercosca l'amministrazione non esitava a piegare esigenze urbanistiche e concessioni ai voleri dei boss.
Attraverso il programma di recupero urbano sono stati indirettamente erogati milioni alla ‘ndrangheta grazie a dipendenti comunali infedeli.Venivano firmate delibere su delibere che cambiavano destinazioni d'uso e davano il via libera a imponenti opere pubbliche (programmate o in via di esecuzione) i cui proventi dovevano finire sempre nelle solite tasche.
Ci sono poi gli affari nel Porto che come dirà un pentito di ‘ndrangheta «era, è e sarà sempre nella nostra disponibilità». I fatti lo dimostrano. Il sindaco Dal Torrione non si è fatto scrupolo di entrare nella società Tauro Ambiente per avere i ricchi appalti di servizi relativi alla pulizia nello scalo: cercando di ottenerli senza gara pubblica e ostentando anche una patente di verginità (risultata poi fasulla) grazie alla partecipazione di imprenditori del nord nella cordata societaria. L'ordinanza svela anche il tentativo di Dal Torrione di trovare una copertura politica quando si accorge di avere ormai i giorni contati. «Un classico si legge testualmente nell'ordinanza rispondente a una logica che in Calabria non può non definirsi mafiosa, secondo la quale l'esponente politico che sia indagato per mafia non può far a meno di prendere contatti con i suoi referenti politici per scopi che è facile immaginare. Solo che in questo caso, mentre uno dei due personaggi contattati può ben considerarsi naturale referente di Dal Torrione per ragioni di partito, cioè l'onorevole Mario Tassone, non così può affermarsi per l'altro, cioè l'onorevole Maria Grazia Laganà, appartenente a schieramento politico ben diverso da quello del sindaco di Gioia Tauro. Entrambi i parlamentari, poi, caratterizzati dall'essere membri della Commissione Parlamentare Antimafia ». Fin qui le parole testuali che sintetizzano il tutto. Ma lo svolgimento nell'ordinanza è sorprendente perché sono annotate tutte le intercettazioni in cui Dal Torrione parla con un certo Fabio, che lo informa su una serie di passaggi che il Viminale stava predisponendo per il suo Comune e giunge anche a fissargli un appuntamento con l'onorevole Laganà (ma lo avrà anche con Tassone per altre vie).
È Maria Grazia Laganà, moglie di Francesco Fortugno, vicepresidente del consiglio regionale calabrese, assassinato a Locri il 16 ottobre 2005, raggiunta dal Sole 24 Ore, a svelare che quel "Fabio" è suo fratello, che l'utenza dell'intercettazione è a lei intestata, ma afferma anche «di non avere mai fatto trapelare nulla su Gioia e di non avere alcuna idea di come mio fratello potesse avere queste informazioni».

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