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Il figlio di Gheddafi: i libici intendono investire di più in Italia

di Carlo Marroni

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30 ottobre 2008
Il ministro degli Esteri libico Shalgam Abdul e Saif Islam Gheddafi (Ansa)

Che il nuovo corso dei rapporti tra Italia e Libia abbia un vero e profondo carattere strategico lo si è visto chiaramente questa mattina alla Farnesina. Nel palazzo del ministero degli Esteri è confluita buona parte del gotha della finanza italiana e della politica, a testimoniare la forza del Trattato di Amicizia firmato il 30 agosto scorso a Bengasi tra il leader della rivoluzione, Muhammar Gheddafi, e il premier Silvio Berlusconi (che ha raccolto anche il lavoro avviato da Romano Prodi).

Per l'occasione - patrocinata dalla fondazione Medidea - è arrivato a Roma il figlio del leader libico, Seif Al-Islam Gheddafi, che ha confermato che gli enti libici di investimento sono in contatto con Telecom Italia e altre grandi società italiane (tra cui Generali, ma si parla anche di Terna e Impregilo) per l'eventuale acquisto di quote azionarie. Insomma, dopo l'ingresso in Unicredit - ieri erano presenti Alessandro Profumo e Dieter Rampl - i fondi libici intendono investire di più.

Strada aperta sempre più anche nell'energia: «Senza gli accordi politici tra Italia e Libia il nostro lavoro non sarebbe sufficiente per realizzare i nostri programmi in quel Paese», ha dichiarato l'amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, che ha ricordato le relazioni di amicizia storiche di Eni con la Libia. «Risale al 1959 il primo accordo di Mattei con la Libia. Questo dimostra quanto lunga sia la storia dei nostri rapporti con quel Paese. Eni è il primo produttore internazionale in Libia. Abbiamo concluso degli accordi strategici fino al 2042 per il petrolio e fino al 2047 per il gas». Il manager ha, inoltre, ricordato che «gli investimenti di Eni in Libia per i prossimi dieci anni, ammontano a 28 miliardi di dollari». Scaroni ha poi sottolineato l'impegno del gruppo italiano anche nel campo del sociale: «In sette anni investiremo in iniziative sociali circa 150 milioni di dollari». Soddisfatto il ministro degli Esteri, Franco Frattini, che ha ribadito come la ratifica del Trattato arriverà da parte del Parlamento in tempi brevi.

A sorpresa durante il breve convegno nella sala delle Conferenze Internazionali, una rivelazione ufficiale da parte del ministro degli Esteri libico, Abdel-Rahman Shalgam, di un evento che in verità era conosciuto da anni: il giorno prima del bombardamento statunitense su Tripoli nel 1986 l'Italia informò la Libia di quello che stava per avvenire, e consentì al leader di salvarsi. «Non credo di svelare un segreto se dico che il 14 aprile del 1986 l'Italia ci informò della gravità della situazione e che vi sarebbe stata un'aggressione americana contro la Libia». Giulio Andreotti, presente in sala e storico amico della Libia, ha confermato che l'Italia avvertì la Libia dell'imminente bombardamento statunitense su Tripoli nel 1986. Secondo Andreotti - che all'epoca dei fatti era ministro degli Esteri del Governo Craxi - il raid Usa fu «un'iniziativa impropria, un errore di carattere internazionale».

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