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Il ministro Gelmini ha davanti a sé un compito molto difficile. Dovrà ridare credibilità a università e ricerca, dovrà promuovere l'autonomia degli atenei ma anche una gestione responsabile delle risorse e un'attenta valutazione dei risultati. Dovrà alzare la qualità della formazione anche "tagliando" i corsi più squalificati e il pulviscolo di micro-sedi universitarie proliferate senza controllo; ma anche favorire il principio di eguaglianza e la mobilità sociale con nuove forme di finanziamento per gli studenti meritevoli. Dovrà introdurre massicci incentivi al merito individuale di docenti e studenti, ma anche a quello di dipartimenti, atenei e strutture di ricerca. Dovrà vincere il blocco delle assunzioni di docenti che penalizza i giovani migliori, ed evitare ogni promozione ope legis di precari d'ogni sorta, che punirebbe chi è ancor più precario di loro, e cioè i giovani che stanno per concludere i propri studi. Non dovrà cadere nella trappola di «distinguere fra reclutamento e promozione dei docenti», come voleva il disegno di legge 1439/2007 (Rifondazione comunista), secondo cui la docenza universitaria dovrebbe essere «riorganizzata in un ruolo unico articolato in tre fasce, dove l'accesso alla docenza avviene in via ordinaria mediante concorso per l'assunzione nella terza fascia», con promozioni ad personam alle fasce superiori: sicura ricetta per spedire l'Italia in fondo a tutte le classifiche mondiali.
I tagli all'università sono necessari? Prima di rispondere, fermiamoci a pensare che le principali vittime saranno i nostri giovani migliori, condannati al forzato esilio. Crescerà il saldo negativo nel rapporto fra brain drain e brain gain; per giunta, in un Paese che compensa il crescente deficit demografico con l'immigrazione (ormai oltre il 5% dei residenti), la bassissima percentuale d'immigrazione intellettuale (inferiore allo 0,1%) trascina verso il basso il livello culturale medio. Nessuno nega la crisi economica presente, ma ci sono vari modi di reagire ad essa. Nel 1992, Yegor Gaidar (allora primo ministro nella Russia di Eltsin) tagliò duramente i fondi alla ricerca, dichiarando che «questa terapia-shock non può che far bene: i nostri scienziati, se sono davvero bravi, troveranno qualcuno che li finanzi».
Come si sa, migliaia di studiosi russi dovettero allora emigrare. Il 4 ottobre 2008, il presidente francese Sarkozy ha dichiarato al contrario che, onde risalire la china della crisi economica, «è necessario accrescere il finanziamento all'università per migliorare lo stipendio dei docenti, rinnovare le sedi, promuovere la ricerca, aiutare gli studenti in difficoltà. Propongo pertanto - continua Sarkozy - che lo sforzo della nazione in favore dell'università aumenti del 50% di qui al 2012, per un aumento complessivo di 5 miliardi». È lecito chiedersi: fra il modello Eltsin (la terapia-shock dei tagli alla cieca) e il modello Sarkozy (la crescita degli investimenti su università e ricerca), qual è, e quale sarà, la scelta di Berlusconi, Tremonti, Gelmini?