Sergio Piazza ha 58 anni. La sua famiglia da tre generazioni lavora al porto commerciale di Marghera. Anche lui come il nonno e il padre inizia a lavorare giovane, a 18 anni. Sergio diventa gruista ma il 30 marzo del 2000 un portellone scorrevole di un capannone esce fuori dai binari e lo schiaccia insieme al cugino Armando. Una massa di acciaio lunga cinque metri e spessa dieci centimetri gli precipita addosso fin quasi a soffocarli. Sergio subisce fratture multiple alle gambe e al bacino e ha tre vertebre schiacciate. Due operazioni chirurgiche, un chiodo di 50 centimetri nella gamba e un'invalidità al 70 per cento sono l'eredità permanente di quel giorno. Da allora non cammina bene e non ha più lavorato. "Io ho sempre fatto lavori manuali. Ero una persona sana e robusta – racconta oggi – e il porto, che ho sempre amato, mi ha lasciato in uno sfacelo fisico ma anche mentale. Con l'incidente da un giorno all'altro diventi un'altra persona, ti devi ridefinire tutto". Da allora non c'è notte in cui Sergio dorma sereno. Spesso si sveglia per gli incubi e una sensazione di soffocamento. Il porto è un ambiente pericoloso: "Ma la mia esperienza è sempre stata il mio salva-vita, perché quando entri da ragazzino hai dei maestri che ti insegnano i pericoli. Ma oggi Marghera è un posto di lavoro inadeguato. Macchine e merci sono diventate sempre più grandi mentre il porto è rimasto sempre lo stesso". Sergio è divorziato e ha un figlio di 37 anni che fa l'artigiano, una strada diversa dalla sua. Passa le sue giornate ascoltando musica e dipingendo. La soddisfazione di creare qualcosa con le mani non lo ha mai lasciato.