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A difesa della giurisdizione

di Donatella Stasio

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5 Dicembre 2008

Che sia un caso «senza precedenti» lo ha scritto il Segretario generale del Quirinale, Donato Marra, nella lettera al Procuratore generale presso la Corte d'appello di Salerno. E «senza precendenti» è anche l'iniziativa di Giorgio Napolitano, che per ben due volte, ieri, è intervenuto nella guerra tra Procure non in veste di Presidente del Csm, ma come Presidente della Repubblica, garante del buon funzionamento della giurisdizione e della sua «indefettibilità» sancita dalla Corte costituzionale. Il sequestro dell'inchiesta Why not da parte dei magistrati salernitani è un caso «con gravi implicazioni istituzionali» e la successiva reazione dei magistrati di Catanzaro, che hanno sequestrato gli atti sequestrati e iscritto nel registro degli indagati i colleghi di Salerno, conferma che è in atto un «aperto, aspro contrasto tra Uffici giudiziari». Il Capo dello Stato è «gravemente preoccupato» per il rischio, più che concreto, che il processo resti paralizzato sine die.
L'iniziativa di Napolitano ha suscitato qualche perplessità, alle quali ha dato voce Antonio Di Pietro, perché le informazioni chieste alle Procure di Salerno e di Catanzaro riguardano atti di indagine coperti dal segreto istruttorio. Per la verità, Napolitano ha chiesto «notizie» e, solo «ove possibile», gli atti dell'inchiesta, ben consapevole di muoversi su un terreno minato, nel rispetto delle specifiche iniziative di competenza dei vertici della magistratura. Il punto è che, già con il sequestro disposto dalla Procura di Salerno, gli atti di indagine rischiano di diventare pubblici prima del tempo. E questa è una delle tante anomalie di una vicenda che «ha mandato in tilt» il sistema giurisdizionale, spiegano al Colle. Si è verificato un corto circuito istituzionale per cui un processo è stato, di fatto, bloccato. Bisogna uscire dall'impasse.
La vicenda, oltre che inquietante, è diventata surreale e grottesca. Salerno indaga sulle toghe di Catanzaro e sequestra l'inchiesta Why not (nessuna delle due Procure può proseguire le indagini); Catanzaro sequestra gli atti sequestrati e indaga sui colleghi salernitani; per motivi di competenza, l'inchiesta dovrebbe finire a Napoli dove, però, c'è Luigi De Magistris, parte offesa nel procedimento aperto a Salerno, per cui gli atti potrebbero dirigersi nella capitale... Ma se in questo bailamme ci fossero dei detenuti, che fine farebbero? A chi dovrebbero rivolgersi? Possibile che non ci fossero altri strumenti per acquisire le carte? È vero o no che Salerno aveva chiesto copia degli atti a Catanzaro e la risposta è stata negativa perché erano coperti da segreto? Oppure il rifiuto non stava in piedi?
A Napolitano non interessa il merito, se cioè l'indagine Why not, aperta e poi sottratta a Luigi De Magistris sia giusta o sbagliata o se, come ipotizzava qualcuno al Csm, siamo di fronte a un caso di «cannibalismo giudiziario». Il Capo dello Stato vuole capire se il sequestro era davvero l'unica via d'uscita o se, invece, esistono rimedi endoprocessuali per evitare la paralisi dell'inchiesta e per consentirne lo sblocco. Altrimenti bisognerà creare una norma di chiusura che consenta al sistema di funzionare. Dunque, Napolitano si muove su un piano totalmente diverso da quello del Csm (che ha già aperto una pratica) e del ministro della Giustizia Angelino Alfano (che ha inviato gli ispettori a Salerno). Glielo impone la Costituzione, in quanto garante del buon funzionamento delle istituzioni.

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