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Addio alle vecchie bandiere, l'ideologia lascia la politica

di Piero Craveri

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16 aprile 2008

Queste elezioni hanno spazzato via anche gli ultimi residui delle vecchie famiglie politiche. Già gli antichi simboli erano scomparsi, salvo l'edelweiss della Sdv e, per ironia della sorte, l'Alberto di Giussano della Lega, il partito che fu nel 1992 l'alfiere della caduta del vecchio sistema politico. C'era ancora una falce e martello che ha preso lo 0,6 %, mentre una piccola fiamma brillava nel simbolo della destra e un piccolo scudo crociato compariva sotto il nome di Casini, essendo quello storico, che fu del Partito Popolare di Luigi Sturzo e poi della Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi bocciato e in seguito troppo tardivamente riammesso dalla Cassazione. Le ultime famiglie in lizza, liberali e socialisti, hanno sfidato la prova senza alcuno successo. Il passato è stato così definitivamente sepolto.

Certo molto personale politico dei vecchi partiti, democristiano, comunista, socialista, missino, repubblicano, liberale, lo si trova oggi nelle nuove formazioni politiche, ma davvero è un'altra storia, senza più alcuna diretta continuità col passato. Quello che si è consumato è il più radicale divorzio tra cultura e ideologie da un lato, politica dall'altro, quell'infrangibile unione ch'era stata il sale della storia politica italiana della fine del secolo XIX. I due nuovi poli partitici sono contenitori di fluidi diversi che un tempo davano luogo ad appartenenze distinte e ora sono miscelati in formule che hanno un significato preminentemente politico, a prescindere dalle identità culturali che li compongono. Da questo punto di vista il nuovo bipolarismo è, quanto alla dinamica del sistema politico, sempre più simile a quello della maggior parte dei Paesi europei, ma diverso nel rapporto con la storia politica passata, perché in questi ultimi c'è maggiore continuità e i partiti conservatori, cristiano-democratici, socialisti, liberali sono tutti eredi di una lunga tradizione.

Se si riflette bene sulla storia del nostro Paese non c'è in realtà da stupirsi di ciò. Questa è caratterizzata da periodi di grande stabilità, interrotti da profonde fratture. Così è stato per l'Italia liberale, per il fascismo, per il centralismo democristiano della prima Repubblica. Poi dopo il 1992 è iniziata una fase transitoria di cui quello di domenica scorsa potrebbe essere l'approdo definitivo verso una bipolare democrazia dell'alternanza. Le fasi di stabilità, quando furono democratiche, nell'Italia liberale e in quella della prima Repubblica, designavano democrazie "incompiute", perché senza interne alternative, salvo quella di cooptare via via altre forze politiche al centro (con il consociativismo, nella prima Repubblica, si arrivò al massimo dell'estensione di questo metodo).

Si costituivano così grandi mosaici con tasselli di colori diversi, che coloravano il disegno di una nomenclatura stabile e dominante che veniva a costituire il legame tra lo Stato e la società. Quando questo legame si rompeva, come è avvenuto con l'avvento del fascismo e dopo la seconda guerra mondiale col primato del partito cattolico, il mosaico si frantumava per ricomporsi con nuovi e vecchi colori. L'ultima rottura è stata la più radicale, non tanto per le sue cause ed effetti interni, ma per la congiuntura esterna che il Paese doveva affrontare, con la sua sfida globale permanente, ed è stata accompagnata da una concomitante e rilevante cessione della propria sovranità nel contesto comunitario europeo.

L'approdo bipolare, senza più quella frammentazione interna ai poli, fino a ieri tratto negativo, caratterizzato dalla commistione spuria di vecchio e nuovo, costituisce certamente un fatto positivo. Occorre vedere la capacità di consolidarlo che avranno le forze di governo e di opposizione. Un punto non secondario da verificare sarà proprio il rapporto tra culture politiche e azione politica di cui si è detto essersi verificata una separazione così netta.. In questo la realtà politica italiana dovrebbe avvicinarsi più al modello americano, che non a quelli europei. Le culture non si improvvisano e per coglierne i segni bisognerà guardare al concreto della vita politica. La tradizione liberale italiana, apparentemente la più debole, trova oggi un solido riscontro nei principi che informano l'Unione europea e il mercato internazionale.

La tradizione socialista (nonché comunista) e quella del solidarismo cristiano, che tanta parte hanno avuto nel recente passato, declinano problemi che socialmente non possono essere elusi, ancorché necessitino di essere resi compatibili con le presenti dinamiche di mercato. Un recupero di autorità dello Stato, che appartiene a diverse tradizioni politiche, dovrà coniugarsi alla spinta verso maggiore autonomia regionale e locale. Un tema come quello della laicità, che in altri Paesi europei divide frontalmente gli schieramenti politici, in Italia è piuttosto trasversale. Anche in questo la separazione tra culture e politica è diventata profonda: rimangono i principi senza più le vecchie bandiere politiche, ma sarà la politica a dover scegliere di volta in volta responsabilmente.

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