Elezioni 2008

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Completare la riforma della Costituzione

di Giacinto della Cananea

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16 aprile 2008

Le elezioni politiche non hanno soltanto impresso un'accelerazione, brusca e in parte imprevista, alla metamorfosi del sistema politico italiano. Esse sollecitano quanti - a diverso titolo - hanno responsabilità politiche a riprendere le riforme istituzionali, alla luce dei pochi progressi fin qui realizzati dopo i referendum elettorali del 1991 e del 1993 e dei punti di debolezza che restano da superare.
La prima debolezza riguarda la capacità di scelta, di decisione e di azione del governo. La seconda riguarda le forme di garanzia nei confronti delle decisioni prese e di quelle non prese, cioè dell'inerzia ingiustificata, lesiva dei diritti spettanti ai cittadini e agli stranieri, alle imprese e alle altre organizzazioni sociali.

Quei punti di debolezza sono spesso attribuiti alla Costituzione, ma si tratta di una ricostruzione solo parzialmente esatta. Si pensi alle leggi che disciplinano le conferenze di servizi, senza consentire alle amministrazioni di adottare decisioni tempestive ed efficaci; alla riforma costituzionale del 2001, la quale, pur perseguendo il giusto obiettivo di trasferire molte decisioni dal centro alla periferia, ha agevolato i veti reciproci. Inoltre, le diverse coalizioni che si sono susseguite hanno sovente abusato dei propri poteri.
Di fronte a un quadro dove le ombre prevalgono sulle luci, può indulgere alla delusione soltanto chi dimentichi che i sistemi di governo richiedono un'opera di manutenzione, che quasi mai è facile. Vi è d'ostacolo l'inerzia di fronte al cambiamento, che è prima di tutto culturale. Non ci si può nascondere neppure l'ampiezza e la complessità delle riforme istituzionali delle quali il Paese ha bisogno. Esse includono, quanto meno, il sistema elettorale (per il quale il referendum abrogativo della legge vigente è stato rinviato al 2008), l'assetto complessivo dei rapporti tra governo e parlamento, quello tra centro e periferie.

Le riforme istituzionali sono, tuttavia, necessarie. Lo sono in misura maggiore rispetto al 1993, per via della più stretta integrazione in atto in Europa e della globalizzazione dell'economia. Entrambe non si limitano a mettere in competizione soltanto le imprese: chiamano in causa la capacità delle istituzioni pubbliche di assicurare un'adeguata cornice giuridica per il progresso economico e per quello civile. Ne discende l'esigenza di riprendere e completare la riforma della Costituzione, ma anche di accompagnarla con misure acconce a livello dei regolamenti parlamentari, delle leggi ordinarie, dell'azione quotidiana di governo.

Per la riforma della Costituzione, non ci si può ritenere soddisfatti del semplice fatto che, dopo le elezioni, esponenti di rilievo delle maggiori forze politiche convengano sulla necessità di alcuni adeguamenti. È di basilare importanza un punto di metodo, una lezione che si trae dagli errori compiuti nel 2001 e nel 2006: le riforme costituzionali non richiedono soltanto una determinata maggioranza. Esse toccano la società tutta, coinvolgono i valori nei quali essa si riconosce, sono parte integrante del processo democratico. Per questa ragione, è fondamentale l'iter decisionale: questo deve essere il più possibile inclusivo, senza che ciò sia d'impedimento all'approvazione d'un progetto coerente.

Un primo obiettivo immediato è costituito dal federalismo fiscale, sul quale si registrano significative convergenze, nelle istituzioni e nella società. Un altro obiettivo immediatamente perseguibile è quello di dotare il Parlamento di regolamenti adeguati alla mutata realtà politica, capaci di bilanciare meglio efficienza e garanzie. È un obiettivo in sé, ma è anche un obiettivo intermedio, nella prospettiva delle riforme successive. Nelle ultime legislature è stato raccolto un consenso su alcuni punti. Quel consenso non va dissipato, nel rispetto delle diverse prerogative della maggioranza e delle opposizioni. Vi è un ulteriore intervento, non ultimo per importanza, che ha natura urgente: la semplificazione dell'attività di governo. Quindici anni or sono si era acquisita consapevolezza dell'esigenza di riservare agli apparati centrali compiti più limitati, ma più importanti; si era cominciato a ridurre il numero dei ministeri e le loro dimensioni. Nel periodo più recente, si è seguito l'indirizzo opposto, con conseguenze negative per la funzionalità dell'azione governativa. È da auspicare che la nuova maggioranza vi ponga subito rimedio. È un buon banco di prova circa la serietà degli intenti dei riformatori.

giacinto.dellacananea@unina.it

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