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Malpensa è il simbolo delle amnesie di Roma

di Salvatore Carrubba

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16 aprile 2008

Distinguiamo: Malpensa ha pesato molto sull'elettorato lombardo e milanese in particolare. Dubito che abbia avuto un effetto decisivo su quello del resto del Nord, abituato a poter contare sugli aeroporti nel cortile di casa. All'esplodere del caso Malpensa, esemplare, a suo modo, era stata la schiettezza del presidente del Veneto, Giancarlo Galan, il quale non aveva affatto nascosto la totale indifferenza della sua gente per la sorte di un aeroporto lontano e scarsamente utilizzato (dai veneti).

I lombardi, al contrario, hanno letto la vicenda come un'ulteriore conferma delle prevaricazioni di Roma su Milano. E la vicenda degli equipaggi Alitalia che andavano e venivano da Roma (con tutte le spese che ciò comportava) pur di non sottoporli allo shock di prendere casa a Milano ha assunto il valore emblematico di una compagnia votata più agli sciali che non alla considerazione delle esigenze del settore più vitale dell'economia nazionale. Agli occhi di gran parte del Nord, insomma, la compagnia di bandiera ha finito per trasformarsi in simbolo tanto degli sprechi romani che della mortificazione lombarda. Qui, evidentemente, la vicenda Alitalia si è legata strettamente con le sorti di Malpensa, il grande hub pedemontano, sviluppato anche con l'ambizione di renderlo il simbolo per eccellenza della capacità imprenditoriale lombarda di proiettarsi sui mercati internazionali. Così, i "turbo-capitalisti" di Luttwack, i "globo-nauti" di Thomas Friedman, il ceto "pro-pro" di de Bortoli, insomma i rappresentanti dinamici della globalizzazione Italian-style, si sono trovati all'improvviso costretti a umilianti peregrinazioni per poter raggiungere i mercati di cui volevano restare protagonisti; mentre il popolo silenzioso dei globo-scettici maturava il proprio rancore nei confronti di un fenomeno che ne minava la stabilità occupazionale, i raggiunti traguardi di welfare, le prospettive di stabilità dei figli.

Alla fine, paradossalmente, in capo alla Lega si sono saldati lo scontento dei primi e l'incertezza dei secondi, la frustrazione di chi della globalizzazione è protagonista e l'incertezza di chi la globalizzazione vorrebbe rintuzzare. Un autentico capolavoro, non c'è che dire, soprattutto per quelle forze, come il Pd, che puntavano a recuperare un rapporto con le forze produttive del Nord. Stai poi a spiegare che, per la verità, non tutte le responsabilità per la paralisi di Malpensa sono romane; e che molto hanno contato scelte locali, frutto della politica locale e delle sue debolezze, a partire da quella di non rinunciare, naturalmente, allo scalo casalingo di Linate. Per quanto gravi e innegabili siano state queste responsabilità, l'opinione pubblica ha vissuto la chiusura di Malpensa come uno scippo, tanto meno comprensibile e ammissibile quanto più attuale si faceva la prospettiva di un grande appuntamento internazionale quale l'Expo 2015. Con un ulteriore paradosso: che mentre si promettevano mirabolanti nuove infrastrutture, tanto per cominciare se ne chiudeva una delle poche già esistenti. Un altro grande capolavoro di coerenza, sensibilità e capacità comunicativa.

Così, anziché separare le sorti di Alitalia e di Malpensa, come sarebbe stato giudizioso, si è preferito fare dell'aeroporto varesino-milanese il capro espiatorio della compagnia aerea, consolidando il pregiudizio che mors sua, vita mea, che il salvataggio della società dipendesse dal ridimensionamento drastico dell'aeroporto; e, quindi, viceversa, che fosse l'egoismo lombardo ad affossare l'Alitalia di tutti. Col risultato di deformare drasticamente il dibattito sulle sorti della compagnia aerea, determinate in realtà dal fallimento della lunga cogestione sindacale; di alimentare la tentazione di trasformare la trattativa con Air France in una esibizione di nazionalismo muscolare; e, peggio, di dividere, quando ancora ce ne fosse stato bisogno, un'Italia dall'altra.

Tornando quindi alla domanda: sì, la gestione del caso Malpensa è stato esemplare di quella disattenzione e di quella insensibilità della politica centrale verso le esigenze di un ceto produttivo frustrato, in tutto il Nord, dalle strozzature di un sistema infrastrutturale e logistico che ne mettono a repentaglio le prospettive di sviluppo. E regolarmente deluso dall'apertura di tavoli e confronti troppo spesso esauritisi nella fase delle foto di rito.
Adesso, al centro-destra tocca la responsabilità di individuare soluzioni di mercato, praticabili, alla crisi dell'Alitalia e alla paralisi della Malpensa; e alla neo-opposizione l'impegno a dedicarsi a una lunga full immersion tra la neo-borghesia settentrionale, nei luoghi dove lavora e produce (alla larga dai salotti) per riaprire col Nord un dialogo troncato ormai trent'anni fa, quando iniziò il declino della grande industria.

salvatore.carrubba@ilsole24ore.com

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