Un Parlamento senza ideologie, come quello che abbiamo eletto, nel quale sono assenti espressioni organizzate delle tradizioni liberale, socialista e comunista, può rappresentare il simbolo di una politica più dolce, ma anche più vuota.
Più dolce, perché potrebbe rivelarsi una politica più attenta alle articolazioni degli interessi, anche territoriali, e quindi più pragmatica; più prosaica, ma anche meno incline a contrapposizioni su visioni del mondo irreparabilmente inconciliabili.
Più vuota, perché ancorare la politica a una visione ideale la rende non necessariamente irrigidita al rispetto dell'ortodossia ma anche aperta a un confronto di idee senza il quale una società, fatalmente, ristagna. Da questo punto di vista, un Parlamento che ha espulso le grandi ideologie che hanno fatto la politica moderna è certamente più povero. Durante la campagna elettorale, tuttavia, non avevo avuto dubbi che, per quanto generosi, gli sforzi, per esempio, delle sigle di liberali e socialisti fossero votati all'insuccesso.
Per la ragione principale, senza voler mancare di rispetto a nessuno, che quelle forze si presentavano più come un relitto del passato che non come una chance per l'avvenire; più come testimonianza che non come investimento; più come un'armata di reduci che non come un manipolo di rifondatori. Non esprimevano più, insomma, alcuna autentica domanda presente sul mercato politico.
Il punto, allora, è se e come questa domanda possa essere rivitalizzata. In un sistema ormai fortemente (e fortunatamente) bipolarizzato, dal quale - scommetto - difficilmente si tornerà indietro, quale che sia il sistema elettorale che ci daremo (ammesso che lo cambiamo davvero), i movimenti di testimonianza hanno scarso senso e nullo futuro. Ma delle idee che essi interpretano (e penso soprattutto alle due ideologie che hanno assicurato la faccia presentabile del 900, ossia liberalismo e socialismo democratico) avremo sempre bisogno. Anziché fantasticare di improbabili partiti, liberali e socialisti, ciascuno per la sua parte, dovrebbero ora mostrarsi capaci di articolare una proposta culturale alla società nel suo complesso e alla politica. Mai come nelle ultime elezioni, quest'ultima ha mortificato il patrimonio rappresentato dalle idee. Dei liberali epurati uno ad uno da entrambi gli schieramenti ho già scritto qui; dei socialisti può dirsi lo stesso. Ma la responsabilità di questo cecchinaggio è, in parte, anche delle vittime, dimostratisi incapaci negli anni di dare vita non a partiti o a correnti-fantasma, ma a movimenti d'opinione articolati nella società e capaci di diffondere idee e di costruirvi intorno un consenso.
In tutto il mondo, la politica ha ancora bisogno di una sana dialettica tra le ragioni della libertà e quelle dell'eguaglianza. L'Italia non può pensare di farne a meno. Ma per riportare questo confronto dentro il Parlamento, occorre ora cominciare a svilupparlo da fuori. E tante lamentele, sacrosante, sull'impresentabilità e sulla povertà ideale della politica potrebbero ora utilmente indirizzarsi verso l'obiettivo di creare, diffondere e consolidare una serie di strumenti a favore, per esempio, di una moderna cultura liberale e di una moderna cultura laburista.
Ben venga dunque il tramonto definitivo delle ideologie, intese come sistemi di pensiero chiusi e totalizzanti, a patto però di recuperare ora un po' di spazio per le idee, considerandole per quello che sono: un fermento per l'innovazione, non una minaccia al potere.
salvatore.carrubba@ilsole24ore.com