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Pd, quei passi falsi cercando il centro

di Piero Ignazi

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16 aprile 2008

Il Partito democratico ha incominciato a muovere i primi passi sei mesi fa. La nascita del Pd era l'approdo finale di un percorso di convergenza tra cattolici democratici ed ex comunisti iniziato nel 1995 con la nascita dell'Ulivo e la prima candidatura di Romano Prodi. I contraenti di quel matrimonio politico hanno a lungo cercato una sintesi, almeno plausibile, della loro unione. Il dibattito è stato lungo, accidentato, defatigante, e spesso di modesto livello (insuperabile per piattezza e banalità il manifesto programmatico). Alla fine, recitando il mantra della “contaminazione delle culture”, il Pd ha visto la luce. Questo faticoso inizio è stato ulteriormente gravato dall'impatto con la competizione elettorale. In realtà, almeno all'inizio, il Pd ha affrontato la sfida con abilità sfoderando il colpo di teatro della corsa solitaria alle elezioni, tanto da mettere in (temporaneo) imbarazzo anche i suoi avversari. Il messaggio era chiaro e rispondeva ad una richiesta di settori moderati, interni ed esterni al Pd: liberarsi della zavorra politica della sinistra radicale. Il messaggio veltroniano era tutto rivolto all'esterno: succeda quel che succeda, ma noi del Pd ci riteniamo autosufficienti, abbiamo le energie e le capacità di affrontare da soli gli avversari e di candidarci al governo senza bisogno di altri apporti; siamo un partito a “vocazione maggioritaria”, come si è detto per certo periodo.

Questa orgogliosa espressione di forza e di autonomia era necessaria anche per cementare le varie anime del Pd. Dopo qualche mugugno interno per l'apparentamento con Di Pietro e, a voce più alta, per la confluenza dei Radicali, il Pd si è rinserrato dietro il suo leader. Il “sacrificio” di un personaggio di rilievo come D'Alema, confinato(si) nella missione impossibile di limitare i danni nella Campania dell'emergenza rifiuti, simboleggia bene lo spirito di squadra creatosi durante la campagna elettorale. Infine la concentrazione dell' attenzione mediatica sul leader ha ulteriormente agito da collante del partito.

Ma il risultato inferiore alle attese riporta a galla alcuni nodi irrisolti, accantonati dalla contingenza elettorale. Perché il Pd non ha sfondato? In estrema sintesi, perché non ha vampirizzato tutta la sinistra e perché ha ceduto consensi alla sua destra. Il partito di Bertinotti ha riversato sul Pd solo una parte dei suoi voti in quanto la Sinistra Arcobaleno si è dispersa in mille rivoli, compresa la Lega; e, allo stesso tempo, probabilmente l'Udc ha attratto qualche elettore del tradizionale bacino ulivista. In sostanza, il Pd non si è espanso al centro, e, forse, vi ha anche ceduto qualcosa. Una causa è dovuta alla scelta dell'Udc di correre anch'essa da sola, scelta che ha fatto da barriera alle potenzialità espansive del Pd verso il centro: occupando quello spazio politico, differenziandosi da Berlusconi Bossi e Fini, e invocando il marchio d'origine cattolico, Casini ha frenato la corsa centripeta del Pd.

L'alleanza con i radicali, molto lodata da tanti osservatori, ha avuto un costo: la disaffezione della componente cattolica dell'elettorato di centro-sinistra. Una componente sottoposta a molteplici tensioni.. Quei cattolici del silenzio evocati dall'ultimo Pietro Scoppola e colonna portante dell'ulivo prodiano, sono sospinti in un angolo, stretti tra i richiami sempre più pressanti della gerarchia e dello stesso Benedetto XVI, e la impostazione “intrinsecamente” laica del Pd. Inoltre, il riferimento al cattolicesimo democratico è ormai minoritario. La scelta coraggiosa di Romano Prodi al momento del referendum sulla procreazione assistita del 2005, quando si definì un “cattolico adulto” smarcandosi dalle indicazioni del cardinal Ruini, venne condivisa da settori assai limitati del mondo cattolico.

È inevitabile che il Pd risenta della condizione di difficoltà di quella che è una sua componente costitutiva. Se a questo si aggiunge la svolta secolarizzante impressa al partito con l'ingresso dei radicali si può ben comprendere come l'espansione verso il centro cattolico moderato , peraltro presidiato da un altro partito, fosse una impresa assai difficile. E tuttavia, questo rimane uno dei problemi strategici del Pd: come ampliare il proprio bacino elettorale a fronte di una perdita di rilievo della sua componente cattolica e di una occupazione concorrenziale del centro? Forse, una strategia dell'attenzione verso l'Udc, o alcuni suoi esponenti, può rappresentare un'opzione.

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