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Bassolino pensa al partito fai da te

di Mariano Maugeri

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10 Gennaio 2009

Resistenza istituzionale a oltranza. E poi il motto della Terza internazionale, "Il socialismo in un solo Paese", declinato nel napoletanissimo "bassolinismo in una sola regione".
Il partito personale di Bassolino è già nato, anche se i vagiti piuttosto flebili sono sopraffatti dall'implosione del Partito democratico. Scaricato da Massimo D'Alema, svillaneggiato dai veltroniani, eletto a icona del malgoverno del Sud da Chiamparino e Cacciari, perennemente sotto il fuoco dei miglioristi napoletani che lui stesso cacciò nel lontano '93, quando il partito lo inviò qui come commissario, il governatore è pronto a ribaltare il tavolo. Chi si aspetta che don Antonio si candidi mansueto come un agnello alle elezioni europee di primavera dovrebbe battere per qualche giorno i palazzi del potere e le università napoletane.
Mauro Calise, ordinario di Scienze politiche a Napoli, ideologo, amico e confidente di don Antonio, non parla con i giornalisti neppure sotto tortura. «Leggete i miei libri», dice lui che è la risultante di un corto circuito culturale: Harvard e l'operaismo di Mario Tronti. Come Totonno, d'altro canto, Pietro Ingrao e Afragola, dove il padre giardiniere e seguace del liberale Malagodi lo tirò giù dal palchetto improvvisato di un comizio in cui il figlio adolescente discettava di comunismo e dittatura del proletariato. «Ma che dici, che dici?», gli urlava mentre lo trascinava a casa.
I libri di Calise, in primis Il partito personale, ormai alla quarta edizione, sono il manuale ai tempi del potere del leader carismatico. Bassolino il carisma se l'è giocato quasi tutto, ma il ruolo di leader è ben alimentato dai sette uomini d'oro e l'ottava donna di bronzo, alias Rosetta Iervolino, attaccati con i denti alle giugulari dove scorrono miliardi e consenso.
Il sindaco è sgusciato indenne dal martellamento dei media e dall'ira funesta dei napoletani, ascoltando i suggerimenti di Bassolino e tutelando prima di tutto gli assessori in quota del governatore. La lettera della Iervolino ai cittadini, pubblicata ieri sui giornali locali, dice a un certo punto: «La città ha bisogno di un sereno e comune fattivo lavoro e non certo di pause istituzionali o governi commissariali ontologicamente lontani da ogni logica di partecipazione». È la clonazione municipale della famosa resistenza istituzionale teorizzata e praticata in Regione dal governatore. Una frase che rimanda al mittente le intrusioni romane e ribadisce un concetto: non permetteremo a nessuno di mettere le mani sui 15 miliardi destinati alla Campania nel periodo 2007-2013. E nei posti chiave, come spieghiamo nell'articolo in basso, ci sono solo uomini di provata fede bassoliniana.
Di più: alla scissione in nuce del Pd segue quella già praticamente conclamata del partito della Rifondazione comunista. L'asse Bassolino-Nichi Vendola è qualcosa di più di un'ipotesi, e già al Comune di Napoli gli assessori di Rifondazione non hanno prestato ascolto all'invito di Paolo Ferrero di uscire dalla Giunta. Idem i Verdi o i comunisti italiani: o vengono accolti sotto l'ala bassoliniana, oppure addio sogni di potere.
In Campania e a Napoli l'unico mercato vivo e vegeto è quello della politica. Un anno da assessore ne vale venti a faticare, come dicono qui, per 800 euro al mese, magari in nero. È il ragionamento che potrebbero seguire pure gli elettori: il 57% dei consensi della Iervolino nel 2006 e il 60 e passa di Bassolino non si spiegano senza il quadrante di Calise. Ci sono quattro paroline: scambio, appartenenza, opinione e voto al leader. Di volta in volta, gli elettori aumentano in una casella e diminuiscono nell'altra. Nel '93 il voto al leader era altissimo, quello di scambio basso. Poi i risultati si sono invertiti. Gli allievi del professore harvardiano la spiegano così: se non riempi tutte e quattro le caselle al 51% non ci arrivi. Silvio Berlusconi lascia cheto Bassolino in nome di una comune affinità tra leader che pur con storie diversissime riconoscono reciprocamente di aver sparigliato la scena politica nel momento della loro irruzione.
La catastrofe campana non sarebbe tale se ci fosse un'opposizione capace di raccogliere il testimone. Sotto le tonnellate di monnezza spalate via in questi mesi di tregenda rimane sempre don Antonio, che stavolta avrebbe pure il vantaggio di trattare da posizioni di forza con le altre due repubbliche autonome, sempre più acciaccate, per la verità, di Ceppaloni e Nusco.
La prova del fuoco per il partito di Bassolino ci sarà nel 2010, un primo test già alle provinciali di questa primavera. Alla Regione un suo fedelissimo, in Comune, con lo scioglimento anticipato di un anno, il ritorno del vecchio leone, infiacchito ma non abbattuto. «Se quella stupida legge sui sindaci non avesse avuto il tetto dei due mandati, Bassolino sarebbe ancora a Palazzo San Giacomo», dicono i suoi fedelissimi. Il governatore potrebbe non farcela, ma con la sua sola presenza il Pd sarebbe condannato alla sconfitta perpetua. Fra i tre protagonisti si potrebbe replicare la prima e inedita alleanza del Sud continentale tra gli uomini di Berlusconi e quelli di Bassolino nei panni dei leghisti in Veneto e Lombardia. O, se preferite, in quelli di Raffaele Lombardo in Sicilia. Un B&B che alla casella voto di scambio schizzerebbe al 100 per cento. Con tanti saluti al Pd, al commissario Enrico Morando, ai compagni Walter Veltroni e Massimo D'Alema.
mariano.maugeri@ilsole24ore.com

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