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Ilda Boccassini: «Il problema sono i Pm nelle mani dei consulenti»

di Lionello Mancini

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27 gennaio 2009

«Insistere ancora oggi sulla figura di Genchi è un modo per evitare i temi veri all'origine di questo polverone. E i temi veri sono: il ruolo del Pubblico ministero nelle inchieste e l'eccezionale utilità dell'analisi dei tabulati in ogni tipo di indagine». Così Ilda Boccassini, Sostituto procuratore della Repubblica a Milano, delimita il terreno di conversazione sul caso del consulente palermitano al centro della tormenta politico/mediatica del momento. Limiti rigorosi, anche se non ha difficoltà a confermare ciò che è arcinoto: nel 1992, quando accettò l'applicazione in Sicilia per indagare sulle stragi di Capaci e via D'Amelio, conobbe l'allora dirigente di Ps Gioacchino Genchi, uno dei primi esperti in tlc, specialità all'epoca rara come rari erano certi apparecchi e certe tecniche d'indagine.
Dopo qualche mese, però, ne chiese l'allontanamento e lo ottenne dall'allora capo della Polizia, Vincenzo Parisi. Perché? «Inutile entrare nel dettaglio di episodi così lontani. Ma una riflessione vale ancora oggi: un'inchiesta procede e va a buon fine se il magistrato che deve dirigerla fa il suo lavoro. Innanzitutto scegliendo con cura i collaboratori e anche assumendo decisioni impopolari, se necessarie». Rifacendosi alla sua esperienza nella conduzione delle inchieste più delicate dell'ultimo ventennio – dalla criminalità organizzata a Mani pulite, al terrorismo brigatista – il magistrato mette in guardia sulle origini di fenomeni alla Genchi: «Il Pm deve saper coordinare Polizia giudiziaria e consulenti, deve affidarsi ad altre competenze, ma anche verificare che fine fanno le deleghe assegnate».

Per tornare a 15 anni fa, date le sue competenze, a Genchi vennero affidati incarichi che egli iniziò a svolgere, ma senza convincere i titolari dell'inchiesta. Parisi decise di destinarlo ad altro incarico ma per arrivare a ciò, Boccassini dovette mettere sul tavolo quel «o lui o io», rivendicando il rispetto di quei ruoli che oggi sembra vacillare.
Se già allora le forze di Polizia arrivarono ai colpevoli di Capaci, riflette la Pm, possono ben farlo adesso, con i mezzi e le nuove tecnologie a loro disposizione. «Proprio non capisco – dice – perché tanti colleghi, specie quelli delle grandi sedi come Milano, Palermo, Roma o Reggio Calabria, scelgano consulenti privati, quando dispongono di personale investigativo di altissima qualità e dotato di mezzi ormai sofisticatissimi». E se il problema, come dice qualcuno, è che i privati sono più efficienti «siamo proprio noi magistrati che dovremmo pretendere dallo Stato mezzi e aggiornamento adeguati per la nostra Polizia giudiziaria».
Ancora, è grave se «un Pm non segue passo a passo, non definisce il lavoro degli ausiliari di Pg, tanto più se si tratta di privati. E può persino accadere che i colleghi si lascino soppiantare nella direzione delle indagini, accettando relazioni obiettivamente irricevibili» perché invece di risposte ai quesiti dell'Autorità giudiziaria, trovano spazio «ipotesi, collegamenti e deduzioni che la legge riserva al Pubblico ministero».

E che dire della tendenza mostrata da molte Procure, di rivolgersi ai costosi servizi dei privati quando potrebbero ricorrere a risorse interne? «Ci sono materie in cui questo è indispensabile, come le consulenze mediche o di tipo ingegneristico. Ma nelle mie inchieste, quando ho dovuto affrontare analisi finanziarie e analisi di tabulati, ho lavorato con la polizia giudiziaria. E con ottimi risultati». Quando è indispensabile rivolgersi all'esterno, «chiedo preventivi e discuto i prezzi, perché sto spendendo soldi pubblici, soldi dei contribuenti». Ma l'esperienza porta Ilda Boccassini a sentirsi decisamente più garantita dal rapporto con la Pg «perché attingono dati da database molto completi, mentre un privato non può o non potrebbe avere a disposizione dati riservati come quelli dello Sdi o archivi storici». E a quanto risulta, Genchi svolge i suo lavoro da privato, ancorché sia un poliziotto in aspettativa da 13 anni.
L'altro punto che allarma non poco il magistrato, riguarda le possibili limitazioni all'utilizzo dei tabulati. «Potrei fare molti esempi, ma è facile intuirlo: stabilire attraverso le tracce elettroniche del cellulare, della carta di credito, dei telepass, dove si trova una persona a una certa ora; se telefona o no a qualcuno, se chiama o è chiamato più o meno spesso da una certa utenza, sono tutti elementi che formano prove documentali importantissime. Prove da collegare ad altre risultanze, ma sono ormai indispensabili sia per individuare un colpevole sia per scagionare un innocente. Ed è successo, succede in continuazione...».

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