Un pranzo di chiarimento ma non ancora risolutivo. Dopo le polemiche a distanza dei giorni scorsi, il faccia a faccia di ieri tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, definito da entrambi «utile e amichevole», ha riportato un po' di sereno tra i due. Assieme alla spigola, servita negli uffici dell'inquilino di Montecitorio (stessa pietanza Fini aveva offerto a D'Alema sei mesi fa), sul tavolo sono finiti anche gli interrogativi sul futuro del Pdl e sulle prossime mosse dell'Esecutivo.
Il presidente della Camera ha ribadito al premier quanto già aveva espresso pubblicamente in più occasioni: la necessità del dialogo con l'opposizione, a partire dalla riforma della Giustizia; una maggiore attenzione verso il Parlamento che passa attraverso la limitazione nell'uso dei decreti legge. Questioni che attengono certamente al ruolo istituzionale di Fini ma attraverso le quali il presidente della Camera esprime anche una valutazione politica, di cui – è implicito nel ragionamento del leader di An – Berlusconi non può non tener conto.
L'eccessiva polarizzazione delle scelte dell'Esecutivo verso il Nord (l'appello alla solidarietà verso il Sud del presidente della Repubblica non è passato inosservato), per venire incontro alle richieste della Lega, rischia di trasformarsi in un boomerang per An e Fi. Fini lo ha detto chiaramente e Berlusconi ha mostrato di condividere la preoccupazione del leader di An. Tant'è che già mercoledì – dopo il vertice con Tremonti, Fitto e Miccichè – il premier ci aveva tenuto a far sapere che i fondi per il Sud (il Fas) sarebbero stati utilizzati per le infrastrutture delle regioni meridionali.
Su riforme e ricorso alla decretazione d'urgenza le posizioni invece restano distanti. Il premier ha ribadito di non avere «nulla contro il dialogo» tra maggioranza e opposizione, anche attraverso il contributo sostanziale dei componenti dell'Esecutivo. Segnali in questo senso ce ne sono già stati e altri ne arriveranno, ha sottolineato: ma di sedersi lui personalmente al tavolo non ci pensa proprio. Anche sul ricorso ai decreti (così come sulla fiducia) il ragionamento di Berlusconi non cambia: «Io devo poter governare – avrebbe detto – e uso gli strumenti che la Costituzione prevede».
Quanto al Pdl, Berlusconi ha concesso a Fini quei chiarimenti che An aveva chiesto. Il Cavaliere punta sempre al 27 marzo, quale data del congresso costitutivo del partito unico del centro-destra, che coincide con l'anniversario della prima vittoria elettorale del 1994. Qualunque rinvio, a questo punto, apparirebbe come espressione di difficoltà interne.
Per rispettare la scadenza Berlusconi ha garantito a Fini che verranno rapidamente messe «nero su bianco» le regole su cui si reggerà il Pdl. A partire dallo statuto che sancirà anche i centri decisionali del futuro partito. L'ipotesi è di riprodurre gli organi già presenti in An: un'assemblea nazionale, una direzione e un esecutivo politico guidato da due o tre coordinatori (espressione delle diverse anime del Pdl). Infine il leader. Il ruolo guida di Berlusconi è fuori discussione (Fini – per dirla con La Russa – è «il leader di domani»). La sua "incoronazione" però non avverrà per acclamazione ma attraverso il voto.