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Cofferati e Cgil saranno risarciti: avevano diritto ad un equo processo contro Bossi

di Samantha Agrò

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24 febbraio 2009
Sergio Cofferati, durante il suo intervento di chiusura alla manifestazione della Cgil a Roma. ANSA -foto d'archivio
DOCUMENTO / La sentenza del Tribunale dei diritti dell'uomo

Strasburgo - Sergio Cofferati, attuale sindaco di Bologna e al tempo dei fatti in questione Segretario generale della Cgil, aveva il diritto di citare in giudizio per diffamazione Umberto Bossi, leader della Lega, e allora deputato e Ministro per le riforme. Lo ha stabilito oggi a Strasburgo la Corte europea dei diritti dell'uomo.
I fatti risalgono al 2002. Quell'anno, il 19 marzo, veniva assassinato dalle Brigate Rosse Marco Biagi, consulente del Ministero del Lavoro. Pochi giorni dopo, il 25 marzo, il quotidiano Il Messaggero pubblicava un'intervista, in cui Umberto Bossi suggeriva una relazione di causa-effetto tra l'attivita' del sindacato e del suo segretario generale e l'assassinio di Biagi. Cofferati e la confederazione sindacale da lui guidata ritennero le affermazioni di Bossi diffamatorie e lo citarono in giudizio, assieme a Il Messaggero, davanti al Tribunale civile di Roma. Ma il procedimento nel confronti del Senatur venne sospeso quando la Camera dei Deputati, e poi in seguito anche la Corte Costituzionale, affermarono che le dichiarazioni rilasciate da Bossi costituivano opinioni espresse da un parlamentare nello svolgimento delle sue funzioni, ed erano quindi coperte dall'immunita' parlamentare.
I giudici di Strasburgo non sono stati d'accordo con questa interpretazione. Secondo la Corte le affermazioni di Bossi non dovevano essere coperte dall'immunita' parlamentare, non solo perche' avvenute al di fuori dell'aula, ma anche perche' Bossi non aveva mai partecipato alle discussioni parlamentari inerenti la riforma del mercato del lavoro, l'omicidio Biagi e le eventuali responsabilita' della sinistra e in particolare della Cgli nella creazione di un clima che favorisse il terrorismo.
La Corte di Strasburgo ha quindi condannato l'Italia per la violazione dell'articolo 6 della Convenzione (diritto a un equo processo) e a risarcire 8mila euro a Cofferati e alla Cgil per danni morali.

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