Fare controlli di velocità con apparecchi nascosti è vietato da un anno e mezzo. Ma ci sono Comuni che continuano a montare i rilevatori su anonime auto-civetta o di ditte private. Così qualcuno ha chiesto un parere al ministero delle Infrastrutture. Che ha confermato il divieto, ma una riga dopo ha chiarito che l'ultima parola spetta comunque a prefetti e giudici di pace. Sì, perché il ministero fa le leggi, ma poi di fatto i Comuni possono interpretarle a piacimento, perché hanno abbastanza poteri per fare da sé o perché non ci sono sanzioni. Si comportano così non solo per fare più cassa: alcune volte c'è l'effettiva volontà di migliorare la sicurezza o l'ambiente, altre volte è questione di campanilismo, di propaganda politica o anche turistica. Gli esempi sono tanti.
Sul fronte delle multe, da anni il ministero si è rassegnato a non ricevere dai Comuni con più di 10mila abitanti la comunicazione su come vengono spesi i relativi introiti. Dal 1993 la impone l'articolo 208 del Codice della strada, ma senza sanzioni. Più di recente, invece, non pochi Comuni hanno installato semafori "intelligenti" (che fanno scattare il rosso sulla corsia in cui rilevano un veicolo troppo veloce) o display dissuasori che riportano la velocità di chi transita. Nei mesi scorsi, il ministero si è espresso contro entrambi (forse con troppo zelo nel caso dei display, per la verità), ma le uniche disattivazioni di cui si ha notizia sono quelle dei semafori "intelligenti" montati in abbinamento ai T-Red su cui sta indagando la magistratura (si veda l'articolo a fianco).
Una delle storie che fanno più sorridere riguarda le strisce pedonali. In alcuni centri, per renderle più visibili, da una decina d'anni si dipinge di rosso la fascia di asfalto circostante. Poi qualche assessore di centro-destra si pose il problema dell'incompatibilità di quel colore con quello politico della propria Giunta e fece usare l'azzurro. Peccato che, interpellato più volte, il ministero abbia sempre risposto che nessuna norma prevede tutto questo, avvertendo che – in caso d'incidente – se si dimostra che l'asfalto colorato ha fatto slittare un veicolo, l'ente proprietario della strada può essere ritenuto quantomeno corresponsabile del sinistro. Sempre dalla magistratura, però.
Discorso analogo per i dossi rallentatori su strade di attraversamento (il Regolamento di esecuzione del Codice li consente solo in zone residenziali) o per i rialzi pavimentati con mattonelle (non previsti da alcuna norma) per far diminuire la velocità in corrispondenza di incroci o attraversamenti pedonali.
Un altro punto su cui il ministero aveva emanato pareri e diffide in quantità – soprattutto al Nord – era l'uso del dialetto nei segnali che riportano i nomi di località. Risultato: molti nomi dialettali sono rimasti e, nei cartelli che indicano il confine di un territorio comunale, sono stati addirittura legalizzati. Dalla stessa legge che fece partire la patente a punti.
In questo stesso filone, ci sono i segnali che fissano l'inizio del centro abitato. Sono fondamentali, perché indicano implicitamente il limite di velocità di 50 all'ora e impongono la prudenza dovuta in città, ma spesso sono stati ridotti a cartelli turistici con l'aggiunta di scritte tipo «Città del tartufo», «Città federiciana» e così via. Nel 2000 il ministero aveva emanato una direttiva contro gli usi impropri della segnaletica, ma con scarso risultato.
Inizialmente era stata più seguita la direttiva del 7 luglio '98 sul bollino blu, che indica ai Comuni di non imporre il controllo dei gas di scarico ai veicoli con meno di quettro anni di vita o con meno di 80mila chilometri di percorrenza. Solo Roma lo aveva richiesto anche agli esemplari immatricolati da un anno, seguita di recente da altre città.