Il testimone ricevuto da «un fratello», come lui ha definito Walter Veltroni (qualcuno li considera - politicamente parlando - gemelli); il giuramento sulla Costituzione prestato sotto lo sguardo affettuoso del padre ottantenne, partigiano, nella sua Ferrara.
Dario Franceschini ha scelto queste immagini per cominciare la sua avventura a termine alla guida del Pd, con piglio essenziale e determinato. Orfano della guida di Veltroni, dopo la bruciante sconfitta delle regionali in Sardegna, il partito era in pieno smarrimento.
L'allievo di Zac (Benigno Zaccagnini, ndr) ha accettato con spirito di servizio, senza essere disposto, però, a cedere a patti. Un rigore che ha trasformato i "ma anche" di Walter Veltroni" nel "si fa così".
Lo si è visto dalle sue prime prese di posizione. A partire dalla proposta di un assegno di disoccupazione per chi perde il posto di lavoro ed è escluso dagli ammortizzatori sociali, proposta bocciata dalla maggioranza in Parlamento ma che continua a far discutere; per arrivare all'idea di una "una tantum" per le famiglie povere facendo pagare più tasse a chi ha redditi superiori ai 120.000 euro. Difficile da gestire dal punto di vista mediatico, oltre che politico, la partita della Rai con i veti incrociati della maggioranza, da un lato, e di una parte dell'opposizione dall'altro. Franceschini si appella a figure di alto profilo, candidati di grande professionalità, che piacciono a entrambi gli schieramenti (Ferruccio de Bortoli prima, Gianni Riotta ora).
Se il plauso alle sue proposte arrivato dal leader leghista Umberto Bossi ha evidenti ragioni politico-elettorali, legate al consenso popolare di cui gode il Carroccio al Nord, anche il leader Udc Pier Ferdinando Casini ha mostrato apprezzamento. Ma elogi a Franceschini arrivano pure da Massimo D'Alema, oltre che da Pier Luigi Bersani. E per il primo segretario Pd allievo del cattolicesimo democratico alla guida di un partito dove sono confluiti gli eredi del vecchio Pc, non è poco.