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Parmalat, la storia dell'operazione Ciappazzi

di Giuseppe Oddo

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2 marzo 2009
FINANZA&POTERE, il blog di Giuseppe Oddo

"Sconsigliai fino all'ultimo l'acquisto della Ciappazzi". Della vicenda che vede imputato in un procedimento a sé Cesare Geronzi quale ex presidente di Banca di Roma si è discusso lunedì mattina al processo sulla bancarotta della Parmalat, in corso a Parma. In aula è venuto a deporre come testimone Alberto Pozzi, il dirigente di Collecchio che seguì l'acquisizione dell'azienda siciliana di acque minerali e che tenne i rapporti con Banca di Roma. Ciappazzi e Bognanco erano infatti due aziende del dissestato gruppo Ciarrapico il quale era molto esposto nei confronti dell'istituto capitolino. "Dal mio punto di vista - ha dichiarato Pozzi rispondendo alle domande del pm Vincenzo Picciotti - nessuna di queste acque doveva essere acquistata".

Il manager-testimone: la sensazione che l'affare si dovesse chiudere per altri motivi
L'ipotesi che Parmalat aveva inizialmente allo studio era la costituzione di una società con l'Acque Terme Fiuggi per la commercializzazione su scala nazionale del più prestigioso marchio del settore. Poi, però, la "scelta" cadde sullo stabilimento della Ciappazzi di Terme Vigliatore, nel Comune di Barcellona, in provincia di Messina. Tra le varie opzioni sul tappeto, questa era "la meno peggio", ha detto Pozzi, nonostante la società evidenziasse in bilancio una perdita operativa, mancasse delle autorizzazioni sanitarie e gli scarichi dell'impianto di imbottigliamento non fossero a norma di legge. Pozzi, che riferiva al direttore finanziario della Parmalat, Fausto Tonna, e che ebbe anche alcuni colloqui con Calisto Tanzi, nelle sue considerazioni finali scrisse che, se proprio si doveva andare avanti nell'operazione, bisognava che Banca di Roma si accollasse le perdite dei primi 2-3 anni di gestione. "Ebbi la sensazione – ha aggiunto – che potesse esservi qualche altro motivo per chiudere questo affare". Dalla riunione che si tenne il 18 gennaio 2000 alla presenza di due dirigenti di Banca di Roma (Carbone e Locati) e del presidente dell'Acqua di Fiuggi (Tucciarelli) emerse che bisognava "fare presto e accelerare il processo di chiusura dell'operazione".

La mia opinione, scrive Pozzi in un altro documento indirizzato al vertice della Parmalat, è che "questa operazione dal punto di vista commerciale, industriale e strategico è assolutamente negativa. Se Fiuggi ha qualche possibilità di recupero, Ciappazzi non ne ha per nulla". Eppure nell'ultimo colloquio che egli ebbe con Tanzi, tra il settembre e l'ottobre del 2001, il Cavaliere gli disse che "comunque una società di Ciarrapico andava comperata".


Acquistata per 15 milioni di euro e rivenduta a meno di 1,5
Parmalat acquisì la Ciappazzi nel 2002 per 15,2 milioni di euro e l'ha rivenduta dopo il crack, ai primi 2006, per poco meno di un milione e mezzo. A fornire queste cifre, durante il processo per bancarotta che si svolge al centro congressi di Parma, è stato Luca Orefici, curatore fallimentare della Cosal, la controllata della Parmalat che rilevò l'impianto siciliano di imbottigliamento di acqua minerale. "L'azienda – ha dichiarato Orefici al Sole-24 Ore a margine del dibattimento – non poteva lavorare perché i suoi macchinari erano vetusti; poteva imbottigliare solo in contenitori in plastica perché per il vetro mancavano le necessarie condizioni igieniche. Subito dopo l'acquisto si scoprì che mancava anche la concessione demaniale per captare le acque. Prima della vendita, infatti, la Regione Sicilia avrebbe dovuto autorizzare la volturazione della concessione". In assenza di questo atto l'acquirente non poteva attingere alla fonte, c'era il rischio che decadesse la concessione.
"Per superare l'ostacolo – continua Orefici – Banca di Roma e Banco di Sicilia fecero pressioni sulla Giunta regionale, che con un provvedimento ad hoc riconobbe in capo a Cosal la concessione solo nel settembre 2003", un anno e mezzo dopo l'aquisto.
Ma i problemi non finirono qui. Dopo il rilascio della concessione demaniale la Ciappazzi continuò a restare inattiva per la rottura della condotta che trasporta l'acqua dalla fonte allo stabilimento: 13 chilometri di tubi. Di fatto l'azienda non entrò mai in funzione. L'operazione si rivelò per Parmalat un buco nell'acqua: 15,2 milioni di euro buttati al vento.

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