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Sistema carcerario da ripensare

di Donatella Stasio

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5 aprile 2009


Il sovraffollamento delle carceri ha toccato in Italia la punta massima dai tempi del dopoguerra. A fine marzo, i detenuti erano 61.057, ben più di quanti erano prima dell'indulto. Diciottomila oltre i posti regolamentari. E il 7 giugno sfonderanno la soglia "tollerabile" delle patrie galere. Accade proprio nei giorni in cui il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, si trova negli Stati uniti per confrontarsi anche sul sistema delle prigioni. Gli americani ne sanno qualcosa di sovraffollamento. Negli ultimi trent'anni, la politica penale e penitenziaria statunitense, ispirata alla "tolleranza zero", ha fatto decuplicare la popolazione carceraria, senza incidere in modo significativo sulla recidiva e con costi elevatissimi, sottraendo risorse ad altri settori come l'occupazione, l'istruzione, la sanità. L'America guida la classifica con il maggior numero di detenuti, in assoluto (2 milioni e 200mila, più 5 milioni di persone in libertà condizionata) e in rapporto alla popolazione (uno ogni 100 abitanti). Complice la crisi economica, gli americani si stanno però convincendo che è arrivato il momento di cambiare politica, penale e penitenziaria: non costruiscono più carceri, chiudono alcune di quelle esistenti, puntano sulle misure alternative alla detenzione, che costano meno e producono più sicurezza. Una svolta, segnalata a più riprese, nei giorni scorsi, dal New York Times.
Per l'Italia viene meno quello che, per decenni, è stato un modello di riferimento. Come in Francia e in Gran Bretagna, anche l'Italia si è infatti ispirata alla "tolleranza zero", soprattutto con le leggi sugli immigrati, sulla droga e sulla recidiva, riempendo le carceri di persone che appartengono agli strati più bassi della popolazione, soprattutto di stranieri (38%) e tossicodipendenti (27%). La popolazione detenuta cresce al ritmo di 1000 al mese, le carceri scoppiano e diventano sempre di più criminogene e patogene. «Siamo fuori dalla Costituzione», ha ammesso nelle scorse settimane Alfano. Ma, a differenza dell'amico americano, il Governo Berlusconi non intende rinunciare alla politica del pugno di ferro e della carcerizzazione a oltranza, anche se le statistiche rivelano che la criminalità è in diminuzione. Piuttosto, preferisce costruire nuove prigioni: come, dove, con quali soldi e con quale personale è tutto da vedere. Il 2 maggio, quando verrà presentato il «piano carceri», lo scopriremo. Certo è che la crisi si fa sentire anche in Italia, dove il sistema penitenziario costa 3 miliardi di euro l'anno, nonostante le condizioni pietose in cui versa, mancano all'appello 5mila poliziotti, non ci sono educatori e il bilancio è perennemente in rosso. I soldi, insomma, non ci sono o scarseggiano e i tempi per la costruzione di nuove strutture o per l'ampliamento di quelle esistenti, per quanto rapidi, non riusciranno mai a tenere il passo con l'aumento veritiginoso dei detenuti. Né sarà il capitale privato, ammesso che si trovi, a risolvere rapidamente questi problemi. E poi: a che serve aprire nuove prigioni se non ci sono poliziotti e educatori?
Una soluzione ci sarebbe: anche in Italia le statistiche dicono che conviene di più - ai fini della sicurezza collettiva - far scontare la pena con misure alternative al carcere piuttosto che chiusi a quattro mandate dentro una cella. Nel primo caso la recidiva è del 19%, nel secondo sale al 69%. Non solo: si calcola che la diminuzione di un solo punto percentuale della recidiva corrisponde a un risparmio, per la collettività, di circa 51 milioni di euro all'anno a livello nazionale. In tempi di crisi, non è poca cosa.

5 aprile 2009
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