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Casa dello studente, il futuro in macerie

dal nostro inviato Mariano Maugeri

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7 Aprile 2009
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C'era una volta la Casa dello studente

L'AQUILA - Pure i possenti palazzi dell'architettura razionalista si sono sbriciolati come biscotti. Il tetto di marmo dell'Inps è ruotato su se stesso. Di fronte, il cinema Massimo con il suo bassorilievo di scenette bucoliche sembra reduce da una guerra combattuta a colpi di bazooka. Il bombardamento tellurico ha trasformato Via Federico II, il salotto dell'Aquila, in un luogo senza tempo.
Polvere che si appiccica ai vestiti, calcinacci, cornicioni frantumati, tetti schiacciati come noci. Alle due del pomeriggio non c'è più anima viva. In piazza Duomo il battistero della chiesa di Santa Maria del Suffragio è letteralmente decapitato, più in là i piccioni stretti uno all'altro si riparano sotto i cornicioni miracolosamente intatti della cattedrale dei santi Massimo e Giorgio. L'ultima delle 21 colonne della Camera di Commercio, architettura francese con i lampioni alle finestre, è tagliata in due da cima a fondo.
Elio Palumbo, un sessantaduenne che ne dimostra dieci di più per lo shock, trascina un sacchetto con una coperta e una bottiglia d'acqua. «Stanotte ci arrangeremo all'americana», dice con lo sguardo triste di chi non riesce a cancellare quell'interminabile scossa che l'ha sbalzato dal letto nel cuore della notte. All'americana significa dormire in macchina o ai giardinetti.
L'Aquila è la brutta copia della città frizzante di quindici anni fa. Poco a poco Pescara ha preso il sopravvento, l'ha svuotata di funzioni, uffici, aziende e ora la città capoluogo vivacchia con gli studenti dell'università e un esercito di vecchi. Persino il coordinatore generale della Protezione civile sta a Pescara. In una zona altamente sismica non è visibile una sola segnaletica della Protezione civile, né l'indicazione dei punti di raccolta. Niente di niente. Inutile chiedere lumi sui piani di evacuazione. Ci sono gli sciami sismici? Passeranno come sono venuti.
Il terremoto dell'Aquila – come la scuola collassata a San Giuliano di Puglia, nel Molise, nell'ottobre del 2002, un centinaio di chilometri più a Sud – sbatte in faccia i volti devastati dei genitori e degli amici della dozzina di ragazzi che erano rimasti a dormire alla casa dello studente. Moltissimi, per fortuna, avevano già raggiunto le loro città di origine per trascorrere le vacanze di Pasqua.
Claudia, una studentessa del corso di laurea in criminologia, ci racconta che per due anni interi ha dormito al primo piano di questa casa, l'edilizia avara e triste degli anni '60, pareti sottili come ostie, strisce orizzontali beige e marroni, tapparelle di plastica in tinta, piccoli terrazzini appiccicati alla facciata. Lì accanto suor Maria Pia, gli occhi stropicciati dal pianto e dalla paura, racconta che in meno di mezzo minuto ha agguantato le sei studentesse del Pontificio Istituto maestre pie filippini e le ha trascinate giù per le scale: «Avevamo ristrutturato il collegio solo qualche anno fa: i soffitti sono rimasti intatti».
Ora suor Maria Pia e le altre cinque sorelle pregano sedute su una tavola di legno proprio accanto alla enorme gru che solleva pezzo dopo pezzo i blocchi di cemento di questo ostello che normalmente ospita un centinaio di studenti. Claudia ha gli occhi gonfi e voglia di sfogarsi. In ottobre si è trasferita dai gesuiti in via Sallustio, nel cuore della città antica, solo per questo è viva. Il suo ragazzo, Peppe, un ragazzo siciliano di Palermo, racconta i suoi dieci anni di cuoco e muratore in nero all'Aquila: «Qui è uno schifo, una città immobile, pure il menù del ristorante di mio zio non è mai cambiato».
Claudia e Peppe aspettano Ciccio, il receptionist della casa dello studente e la sua fidanzata, Angela, studentessa a Ingegneria, la coppia di amici inseparabili. «Hanno appena trovato la borsa di Angela!», ci avverte Claudia alle quattro del pomeriggio, «ma di lei ancora nessuna traccia». I genitori di Ciccio sono appollaiati su un'aiuola tappezzata di bottiglie di plastica vuote e coperte ammonticchiate: un pianto infinito alternato a singhiozzi strozzati. Accanto a loro un trolley nero recuperato poco prima dai vigili del fuoco. È sfondato, ricoperto di polvere, e sopra hanno appoggiato un bracciale di cuoio con le borchie.
Sotto le macerie c'è Michelone Hussein, un ragazzo israeliano che all'Aquila studia Medicina. Piergiorgio, l'altro receptionist, i pompieri l'hanno tirato fuori da una finestra. Tre ore dopo, scavando con le mani per evitare crolli improvvisi, i vigili del fuoco e gli uomini della Protezione civile tirano fuori uno a uno sei ragazzi. Cinque sono ancora vivi, ma non filtrano notizie sulle loro condizioni. Franco Colonna, un ingegnere del Comune, spiega cosa potrebbe essere accaduto: «Ha ceduto l'attacco dei pilastri alle fondazioni. I primi piani e i piani terra sono stati flagellati dal sisma. Più in alto c'è un'oscillazione maggiore che rende le strutture meno vulnerabili».
Di vulnerabilità è un esperto Guido Ammaturo, un signore dell'Aquila che ha appena ristrutturato la sua casa settecentesca: «La sovrintendenza è stata terribilmente pignola: materiali originali e l'estetica di 300 anni fa. Sulla tenuta antisismica della casa, invece, né una domanda né una ricognizione».

7 Aprile 2009
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