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Referendum, il braccio di ferro Pdl-Lega e il compromesso del 21 giugno

di Emilia Patta

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14 aprile 2009

«La legge elettorale che uscirebbe dal referendum è un attentato alla democrazia, c'è un rischio fascismo. Non si può permettere a chi ha avuto il 25% dei voti di ottenere il 55% dei seggi in Parlamento». L'altolà che viene da Roberto Calderoli di prima mattina con un'intervista alla Stampa è di quelli che non lasciano dubbi: no netto all'accorpamento del referendum elettorale con le europee del 6-7 giugno. Nel pomeriggio un vertice leghista con Umberto Bossi e Roberto Maroni farà il punto. Ma certo la Lega non sembra disposta a cedere, pena la sopravvivenza del partito. La ritorsione potrebbe avere molte facce: dagli accordi già siglati per le amministrative alla tenuta stessa del Governo. Il referendum non deve passare, il quorum non deve essere raggiunto, il bipartitismo in Italia non dovrà esserci.

Certo per Silvio Berlusconi - dopo essersi esposto nei giorni scorsi in favore dell'accorpamento per risparmiare 400 milioni da devolvere in aiuto delle popolazioni abruzzesi colpite dal terremoto - non è un passaggio facile. E la decisione dovrà essere presa entro pochi giorni: per poter fissare il referendum il 6-7 giugno c'è tempo solo fino a venerdì 17 aprile. Il tutto mentre il leader del Pd Dario Franceschini cavalca l'onda e parla di sprechi ai danni dei terremotati e di una «Bossi tax» di 400 milioni che il Governo imporrebbe a tutti gli italiani se si rinunciasse all'accorpamento.

L'impressione è che il referendum sia da qualche settimana il grimaldello che il premier usa o è tentato di usare per tenere a bada l'alleato e per rovesciare in favore del Pdl i rapporti di forza interni alla maggioranza. Sul tavolo le prossime elezioni, con una Lega che veleggia nei sondaggi verso il 10% e ha già annunciato che alle europee si presenterà per la prima volta in tutta Italia nonché, alle amministrative, in Lazio, Abruzzo, Campania e Puglia. Una strategia che tende ad allargare il tradizionale raggio di influenza leghista portando la concorrenza direttamente in casa Pdl. Sullo sfondo le regionali del 2010: un buon risultato ora permetterebbe alla Lega di rivendicare il candidato governatore in Veneto e forse anche in Lombardia.

Senza dimenticare le ronde e la "stretta" sui clandestini: questioni a cui la Lega tiene tantissimo e che dovrebbero approdare a fine mese in un'Aula di Montecitorio che vede il Pdl scettico e diviso sul tema. E le perplessità, soprattutto su ronde e denuncia dei clandestini da parte di medici e funzionari pubblici, non appartengono solo al presidente della Camera Gianfranco Fini ma anche al premier.

Al netto di colpi di scena, sempre possibili, il compromesso sarà infine sulla data del 21 giugno: il referendum - come dice il presidente dei senatori Pdl Maurizio Gasparri - può essere accorpato non all'election day ma al giorno dei ballottaggi per le amministrative. L'unico accorpamento che la Lega potrebbe accettare salvando la tenuta del Governo. Vedremo nei prossimi giorni.

14 aprile 2009
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