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Tassare i redditi più alti: ma sono i veri ricchi?

analisi di Dino Pesole

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15 aprile 2009

Tassare i redditi più alti per sostenere almeno una parte delle spese della ricostruzione in Abruzzo. L'ipotesi circola da qualche giorno, e richiama l'analoga proposta avanzata alcune settimane fa dal segretario del Pd, Dario Franceschini. L'emergenza terremoto non era ancora esplosa, e Franceschini lanciò la sua proposta in chiave anticrisi: tassare i redditi oltre i 120 mila euro annui con un contributo di solidarietà del 2%, limitatamente all'anno in corso. Secondo i calcoli del Pd, si sarebbero in tal modo incassati 500 milioni, finanziando in tal modo il Terzo settore e il Fondo sociale per i comuni. Proposta che il Governo e la maggioranza giudicarono impraticabile. Ora riemerge tra le ipotesi allo studio dei tecnici all'Economia, anche se in forme tuttora da definire.

Pare opportuno a questo punto commentare l'ipotesi dati alla mano. E le informazioni più recenti e attendibili a nostra disposizione sono le dichiarazioni dei redditi del 2006, diffuse venerdì scorso dal Dipartimento delle Finanze del ministero dell'Economia. Bene, i dati ci dicono che il reddito medio dichiarato dai contribuenti italiani è di 18.324 euro. Oltre 14 milioni (il 35%) dichiarano un reddito complessivo inferiore a 10mila euro. Sono invece 829mila (il 2%) coloro che "ammettono" un reddito superiore a 70mila euro. Sopra i 100mila euro l'anno si colloca solo lo 0,9% dei contribuenti. Si tratta di appena 355mila italiani. Pure ammettendo in via ipotetica che chi guadagna oltre 100mila euro l'anno possa essere tout court catalogato nella categoria dei "ricchi", ben si comprende che un intervento su una fascia così ristretta di contribuenti potrebbe garantire un gettito poco più che irrisorio. Un segnale - certo - si potrebbe obiettare: i contribuenti con maggiore disponibilità "cedono" una piccola quota del loro reddito per la ricostruzione in Abruzzo.

Il problema vero è che in un Paese come il nostro che presenta livelli di evasione fiscale da record mondiale (oltre 100 miliardi di euro ogni anno, con un sommerso che raggiunge il 17-18% del Pil), basarsi sulla sola dichiarazione dei redditi è scelta inevitabile ma rischiosa. In sostanza, si finisce per penalizzare quella parte di contribuenti che, per effetto della ritenuta alla fonte che viene applicata automaticamente dal sostituto d'imposta, non può in alcun modo "sfuggire" al fisco.

L'enorme platea degli evasori, al contrario, non verrebbe minimamente intaccata. Il contributo allora andrebbe chiesto a tutti, lavoratori dipendenti e autonomi, pensionati e liberi professionisti, al "popolo della partita Iva" come al singolo artigiano e commerciante. Ma in questo caso, la procedura risulterebbe molto più complessa, poiché artigiani, commercianti e professionisti sono soggetti agli studi di settore, tanto per citare uno dei casi più evidenti, basati su ricavi e compensi presunti, e ora in via di rielaborazione per effetto della crisi economica.

È lo specchio di un Paese in cui il sistema fiscale, per ragioni che risalgono agli anni Settanta, quando vide la luce la riforma tuttora in vigore, basa buona parte del suo gettito "sicuro" proprio sulle ritenute da lavoro dipendente. Per il resto, ci si è affidati a meccanismi spesso discutibili e certamente controversi, come la "minimum tax" o i vari coefficienti presuntivi di reddito. Il tutto in presenza di livelli di evasione che rendono in sostanza il prelievo strutturalmente squilibrato.

In conclusione, se si tratta di un segnale di solidarietà può anche andar bene, a patto che non si sostenga che in tal modo si sono colpiti i veri "ricchi". I veri "ricchi" sono gli evasori, categoria che nel nostro Paese può anche vantare, a causa della mancanza di una vera coscienza civile e fiscale, la malcelata ammirazione del cosiddetto "popolo dei tartassati".

15 aprile 2009
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