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Il cuore discreto e tenace di una dinastia

di Aldo Bernacchi

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16 Maggio 2009

Tutti la ricordano, quella mattina di gennaio, in una Torino attonita per la morte dell'Avvocato nel pieno della crisi della Fiat, arrivare per prima, gli occhiali scuri e in silenzio, nella sede del Museo storico di Via Chiabrera dove si riuniva, convocata da Umberto Agnelli, l'accomandita per varare un aumento di capitale di 250 milioni: Susanna Agnelli anche in quei giorni dolorosi aveva fatto da collante discreto ma tenace di una dinastia che tutti davano ormai per sconfitta, spaccata da contrasti e opposti interessi. Da poche ore era venuto meno, portato via da un male incurabile, Gianni, il fratello maggiore di lei di appena un anno, il leader indiscusso della sua generazione, la terza degli Agnelli. «Sentiamo Gianni»: l'Avvocato era stato il faro cui Suni era solita rivolgersi, chiamando a raccolta tutti, quando c'era da decidere qualcosa di importante e non vi era unanimità in famiglia.
Morto lui, Suni aveva subito riconosciuto in Umberto il nuovo leader, il fratello di gran lunga più giovane di tutta la nidiata di figli di Edoardo Agnelli, rispondendo senza indugi come ramo Rattazzi all'appello della Sapa per la sua parte e quella dei suoi figli, circa il 7% dell'intero capitale della Giovanni Agnelli e C. che tramite l'Exor controlla oltre il 30% di Fiat. Quell'aumento di capitale è stata la scintilla da cui è partito il riscatto dell'intera Fiat. Solo pochi giorni prima Susanna Agnelli con la sorella Mara Sole era uscita allo scoperto, lei che non ha mai amato mettersi in vetrina nelle vicende di casa, inviando una lettera al "Foglio" di Giuliano Ferrara per stroncare il rincorrersi di voci che davano Umberto in minoranza.
«Non dimenticatevi che siete un Agnelli», il richiamo dell'istitutrice inglese, che Suni cita nel suo libro più celebre riandando agli anni dell'infanzia, è stato una sorta di "corporate governance" che ha guidato la sua vita, fin da bambina quando piangendo e invocando un filo di luce che rompesse il buio della stanza, si sentiva rispondere un secco no da Miss Parker: «È silly aver paura». E con fierezza Suni fu l'unica a manifestare pubblicamente un certo disappunto quando l'Avvocato lasciò, per raggiunti limiti di età, la presidenza del gruppo a Cesare Romiti. «Mi fa uno strano effetto non vedere più un Agnelli a capo della Fiat. Ma è solo per poco». Il riferimento era a Giovannino Agnelli, il figlio di Umberto, che era stato designato leader della quarta generazione. Ma Giovannino non fece in tempo a insediarsi morendo a 33 anni nel dicembre nel dicembre '97.
A differenza dell'Avvocato che morì con una Fiat nel pieno della bufera, Suni ha chiuso ieri la sua avventura terrena con un Lingotto pronto a conquistare Opel dopo aver messo mano alla Chrysler. A Torino non sono pochi a riconoscere a Suni un ruolo essenziale in alcuni snodi fondamentali decisivi per il rilancio dell'auto sotto la guida di Sergio Marchionne e Luca di Montezemolo, come quando appoggiò in pieno l'azione di Gianluigi Gabetti contrario a che la famiglia diluisse a propria quota in Fiat, quando le banche avessero convertito in azioni il prestito di 3 miliardi. Suni fu abile a rintuzzare le perplessità del nipote Andrea, il figlio di Umberto, che qualche giorno prima in un'intervista aveva detto che «una Fiat meno familiare e più bancaria non era un dramma». Senza la sua mediazione e quindi senza l'equity swap, con cui Ifil acquistò azioni sufficienti a mantenere inalterato il controllo sul Lingotto evitando anche il rischio di Opa, forse sarebbe cambiata la storia stessa di Fiat che a 110 anni si prepara oggi a sbarcare in auto in America.

16 Maggio 2009
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