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PILLOLA POLITICA / "Riforme condivise": lo stop di Fini al metodo Berlusconi

di Emilia Patta

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25 maggio 2009

«Formulo un vivo auspicio, che il Parlamento della XVI legislatura possa portare a termine il percorso riformatore che da troppo tempo è stato avviato ma non ancora portato a compimento». Nelle stesse ore in cui autorevoli esponenti del Pdl come i ministri Renato Brunetta e Ignazio La Russa annunciano il via alla raccolta delle firme per la proposta berlusconiana di un'iniziativa di legge popolare per ridurre il numero dei parlamentari, è il presidente della Camera Gianfranco Fini a ricordare ancora una volta qual è il metodo da seguire. E lo fa non a caso inaugurando una mostra sulla Costituzione a Montecitorio, «nostra bussola insostituibile nei momenti difficili».

«Mi auguro - spiega Fini - che il superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto, la riduzione conseguente del numero dei parlamentari, la ridefinizione equilibrata dei rapporti tra potere esecutivo e potere legislativo non siano bandiera dell'uno o dell'altro schieramento politico, ma siano piuttosto riforme condivise, la cui realizzazione contribuirebbe ad accrescere la fiducia dei cittadini nelle istituzioni repubblicane».

Da parte sua Silvio Berlusconi, nella bufera per il caso Noemi, rilancia le sue priorità in tema di riforme: un Parlamento composto da 300 deputati e 150 senatori e modifiche ai regolamenti parlamentari «che diamo la possibilità alle leggi di avere un iter più veloce rispetto a quello determinato attualmente anche a causa di un Parlamento pletorico». Anche se non è un mistero che il premier sia tentato da soluzioni presidenzialiste, per il momento le sue proposte non configgono con quelle già depositate in Parlamento e sulle quali c'è anche la convergenza dell'opposizione: la cosiddetta "bozza Violante", a cui fa riferimento Fini, prevede appunto la riduzione del numero dei parlamentari (oltre al rafforzamento dei poteri del premier e all'istituzione di un Senato federale); e le riforme dei regolamenti messe a punto da Pdl e Pd convergono sulla necessità di attribuire un iter veloce (60 giorni) alle proposte di legge del governo anche come antidoto all'eccessivo ricorso alla decretazione d'urgenza.

Insomma la divergenza tra Berlusconi e Fini - e con Fini il presidente della Repubblica nonché la Lega, preoccupata di mantenere il buon clima con il Pd per l'attuazione del federalismo fiscale - non è al momento nel merito ma nel metodo. Non è tuttavia una divergenza di poco conto: da una parte la via parlamentare, il costante dialogo con l'opposizione e la riforma condivisa della seconda parte della Costituzione. Dall'altra l'appello diretto al popolo, la critica delle lungaggini parlamentari, la minaccia di procedere a maggioranza. Una volontà di fare e fare subito, quella del premier, che potrebbe uscire rafforzata dalle urne qualora il risultato del suo Pdl e della sua stessa persona (Berlusconi è capolista ovunque alle europee) dovesse essere superiore alle pur rosee aspettative.

Che Giorgio Napolitano sia in questa "partita" dalla parte di Fini non ci sono dubbi. La preoccupazione del Quirinale è emersa sabato, a Palermo, quando Napolitano non ha mancato di richiamare la classe politica all'impegno per «un clima di rispetto, in ogni circostanza, degli equilibri costituzionali da parte di tutti coloro che sono chiamati ad osservarli». Sono settimane di campagna elettorale e il capo dello Stato non interverrà a caldo nelle polemiche. Parlerà invece il 9 giugno al plenum del Csm, ad urne europee chiuse.

25 maggio 2009
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