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Chi è al-Mukhtar, l'uomo nella foto sul petto di Gheddafi

di Marco Innocenti

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10 giugno 2009

E' uno di quegli uomini che forse solo il deserto sa esprimere: uomo di fede e di armi, forte, austero, povero, intransigente. Rodolfo Graziani, che, usando tutto tranne gli scrupoli, lo sconfiggerà, lo descrive così: "Di statura media, tarchiato, capelli, barba e baffi bianchi, è di intelligenza pronta e vivace, di carattere energico e irruente, di profonda religiosità e di assoluta povertà". Parole che, dette dall'avversario che lo porterà al patibolo, sono di sorprendente ammirazione.

Omar al-Mukhtar (di cui Gheddafi, in visita in Italia, ha portato oggi sul petto la fotografia) è un religioso e un guerrigliero, caratteristiche che si fondono in una determinazione assoluta e in una fede profonda. Leader riconosciuto dei senussi, guida la resistenza agli italiani in Cirenaica per quasi vent'anni, fino al 1931, quando, settantenne, è impiccato per ordine di Mussolini.

Omar conduce una spietata guerra per bande. Colpisce con i suoi audaci cavalieri, si ritira, svanisce nel nulla. Dispone di duemila-tremila uomini e, soprattutto, del sostegno incondizionato della popolazione. Gli italiani, pur mettendo in campo forze ben armate e dieci volte superiori, ne subiscono l'aggressività. Nel '30 Mussolini affida a Graziani, il compito di liquidare la resistenza. L'atletico e collerico generale ciociaro ricorre a ogni mezzo: deportazioni, bombardamenti, esecuzioni, tribunali speciali, reticolati, saccheggi. Sul piano militare, Graziani punta sulla rapidità di movimento, cercando di contrastare la guerriglia con la sua stessa tattica. Sul piano generale, per togliere l'acqua al pesce, fa il vuoto attorno a Omar trasferendo la popolazione lontano dalle aree di combattimento e richiudendola in campi di concentramento: il tutto condito da sofferenze, atrocità e la tragica contabilità di decine di migliaia di morti. La sua politica della mano pesante, oggi, si chiamerebbe pulizia etnica.

Privato del sostegno popolare, tagliato fuori dall'Egitto da un'enorme barriera di filo spinato, rimasto con pochi uomini, viveri e munizioni, Omar viene accerchiato, ferito e catturato il 15 settembre 1931. Il rapido processo farsa si conclude come da copione. Alla lettura della sentenza di morte non si scompone: "Da Dio siamo venuti e a Dio dobbiamo tornare". L'indomani, carico di catene, sale al patibolo.

Sono le 9 del mattino del 16 settembre. Intorno alla forca eretta a Soluch sono assiepati 20mila libici, fatti affluire per assistere all'impiccagione del loro capo e alla dimostrazione della severità delle giustizia fascista. Quando il vecchio "leone del deserto", avvolto in un baracano bianco, viene fatto salire sul patibolo, cade un silenzio totale. Mentre gli sistemano il cappio attorno al collo, guarda per l'ultima volta la sua terra e la folla silenziosa, che trattiene rabbia e dolore. Poi, un calcio allo sgabello ed è la fine.

10 giugno 2009
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