Da una parte i dirigenti del Pdl, in particolare quelli più vicini a Berlusconi, dicono che le cose per le europee sono andate bene: il risultato del 35% è comunque superiore alla somma dei voti di Forza Italia e An nelle europee del 2004. Senza contare che, grazie al 10 % della Lega, la coalizione di governo supera comunque il 45% dei voti. Dall'altra parte i dirigenti del Pd, in particolare quelli più vicini a Franceschini, cercano di spiegare che le cose non sono andate poi così male: Berlusconi non ha sfondato e quel 26% non è la catastrofe che indicavano i sondaggi (al di sotto del 25%) dell'inizio della campagna elettorale.
Ma, al di là di queste affermazioni autoconsolatorie, i due maggiori partiti della geografia politica italiana, escono entrambi ammaccati dal risultato delle elezioni di sabato e domenica scorsa. Il Pdl è lontano 10 punti da quel 45% indicato come obiettivo possibile da Berlusconi durante la campagna elettorale, ed è anche 5 punti al di sotto della soglia del 40% che quasi tutti gli osservatori indicavano per poter dire di avere avuto un risultato soddisfacente. Ma, soprattutto, ora il Pdl deve fare i conti con l'alleato Lega. Conti che non saranno facili. Al di là dei toni rassicuranti usati negli ultimi giorni di campagna elettorale, Bossi potrebbe essere tentato di far valere sino in fondo il suo potere di coalizione, esercitando quel ruolo da Ghino di Tacco che Bettino Craxi aveva riservato al suo Psi nei governi di Centro-sinistra della prima Repubblica. Inoltre il risultato insoddisfacente delle europee potrebbe aprire nuovi spazi, per coloro che come Gianfranco Fini, hanno mostrato di voler mantenere un'autonomia di valutazioni rispetto a quelle dei super tifosi di Berlusconi. E non è un caso che un dirigente proveniente da An, accorto come Ignazio La Russa, abbia manifestato la sua disapprovazione per i toni filo-leghisti usati dal premier negli ultimi giorni di campagna elettorale.
Se su Berlusconi incombe l'ombra di un nuovo Ghino di Tacco, Franceschini e il Pd dovranno fare i conti con il raddoppio dei voti messo a segno da Antonio Di Pietro. Il quale non nasconde di ritenere di avere tutte le carte in regola per competere con il maggior partito dell'opposizione. Magari, dicendo la sua su come riorganizzare l'opposizione al Governo di Centro-destra. Di questo e di altro si parlerà in vista del Congresso del partito (lo si chiami come si vuole, visto che la parola congresso non è evocata dallo Statuto). Una scadenza politica verso la quale il partito si avvia diviso, non necessariamente in base all'esclusiva provenienza dai Ds o dal Ppi. Nè va dimenticato che, mentre incombe la competizione con Di Pietro su chi è poco o troppo anti-berlusconiano, non manca nel Pd chi più che all'Idv e alla sinistra ormai extraparlamentare, guarda ai moderati centristi di Casini per una possibile convergenza sui temi etici, e non soltanto su essi.
Insomma: il voto per le elezioni europee, considerato un grande test per la politica italiana, qualche segnale lo ha dato. E questi segnali non sono certo rassicuranti per i due maggiori partiti: se il Pd piange, il Pdl non ride.