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ANALISI / La tela leghista abbraccia mezza Italia

di Stefano Folli

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9 giugno 2009

Mai come quest'anno l'analisi del voto amministrativo è necessaria per integrare il giudizio sulle elezioni europee. Da quanto è dato capire, le tendenze sono confermate. E rendono possibili due riflessioni. La prima è che il centrodestra ottiene una rete di successi significativi, salvo che nelle due storiche regioni "rosse", la Toscana (soprattutto) e l'Emilia-Romagna (ma con l'eccezione di Piacenza). C'è poi un arretramento in Sicilia e c'è l'astensionismo "punitivo" della Sardegna (il trasloco del G-8).
Ma nel complesso le amministrative premiano la destra, in linea con l'esito del voto europeo. In qualche misura, rappresentano un discreto premio di consolazione per Silvio Berlusconi, dopo la delusione personale di domenica notte.

Si può dire anche che nelle province e nei comuni sta prendendo forma una classe dirigente di centrodestra che in prospettiva sarà forse in grado di tagliare il cordone ombelicale con Berlusconi. Per ora non è possibile: il Pdl coincide ancora con le fortune politiche e personali del suo fondatore e padre-padrone. Ma si comincia a intravedere il futuro, partendo proprio dagli enti locali. Anche su questo terreno la Lega è più avanti del suo alleato. Il Carroccio, come è noto, amministra da anni importanti realtà del Nord e vale la pena notare che gli amministratori leghisti uscenti vengono di solito confermati con importanti percentuali.

Seconda riflessione. Proprio l'esame del voto amministrativo conferma che i due vincitori autentici delle europee, la Lega e l'Italia dei Valori, si rivelano determinanti anche a livello locale. Il partito di Bossi in particolare deborda oltre i suoi confini geografici tradizionali e si proietta verso l'Italia centrale. Ottiene risultati eccellenti soprattutto in Emilia, vedi Bologna e Piacenza, ma registra percentuali interessanti in varie zone, dalle Marche al Lazio.

Si capisce quindi che il Carroccio ha saputo interpretare un certo senso comune dell'elettorato sul tema cruciale della sicurezza, spesso confusa ambiguamente con la lotta all'immigrazione clandestina, e in linea generale ha offerto l'idea di una forza concreta, pragmatica, vicina ai bisogni della gente. Sotto questo profilo, Bossi e Di Pietro forse si assomigliano più di quanto non si pretenda. Entrambi indeboliscono i due maggiori partiti del nostro bipolarismo, sottraggono voti in parte al Pdl, in parte al Partito Democratico. L'Italia dei Valori tende a raddoppiare i suoi consensi quasi sempre a scapito del Pd. Ed è singolare che l'unico partito non toccato da queste scorribande sia l'Udc di Casini, che anche per questo può essere considerato il terzo vincitore della partita, almeno per quanto riguarda le europee.

Il fatto che la Lega non abbia superato i consensi del Pdl in Veneto diventa un elemento secondario. Il Carroccio si prepara a pesare sugli assetti della maggioranza più di quanto non si voglia ammettere. Al momento, tutti preferiscono tenere le carte coperte, ma il ministro Calderoli dice la verità quando ammette che «i voti si pesano, non si contano». I voti si pesano... Vuol dire che Bossi, senza aprire conflitti sostanziali, ma anzi con il sorriso sulle labbra, imporrà la sua agenda politica. La sua visione istituzionale.

Si diceva all'inizio della legislatura che la Lega voleva essere «il motore delle riforme». Adesso c'è da credere che il motore tornerà a rombare, facendo tremare i delicati equilibri di una maggioranza composita. Spetterà a Berlusconi trovare le giuste sintesi, evitando che l'«asse nordista» imponga in ogni caso la legge del più forte. Il presidente del Consiglio dovrà dedicarsi alla mediazione politica, arte da lui non prediletta. Da oggi la strategia fondata sul carisma personale va in soffitta, almeno in attesa di tempi migliori.

Quanto a Di Pietro, ormai vale un terzo circa del Pd. Intende condizionare le scelte della maggior forza del centrosinistra e non lo nasconde. In un certo senso, il leader dell'IdV si è iscritto al prossimo congresso dei democratici. Ma non per intervenire dal palco. Il suo congresso l'ex magistrato lo farà giorno per giorno sui media, con l'intento, nemmeno dissimulato, di imporre la sua regola a un partito di nuovo in cerca d'identità. Basta dire, come Fassino, che occorre costruire un sistema di alleanze che comprenda l'Udc e il partito dipietresco? Probabilmente no. Casini e Di Pietro non sono al momento conciliabili e la credibilità di un futuro sistema di alleanze non potrà ignorare questo dato.

Tuttavia scegliere tra l'uno e l'altro, costruendo una politica seria intorno all'ipotesi presa in considerazione, significa aver chiarito prima molte cose all'interno del Pd: i contenuti, i programmi, il rapporto con il paese, la leadership. Si torna da capo, in una sorta di "anno zero" che il Pd nega, ma che è il logico esito di elezioni non fortunate.

9 giugno 2009
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