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Astensioni, Di Pietro e i radicali: le tre insidie che pesano sul Pd

di Stefano Folli

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Sabato 06 Giugno 2009

A destra il tema politico è e resta la concorrenza tra Pdl e Lega nel Nord, in particolare in Lombardia e Veneto. Ne può scoccare una scintilla in grado di modificare - ne abbiamo parlato ieri - l'equilibrio interno del centrodestra. Berlusconi lo sa e combatte strenuamente la sua battaglia, che si gioca anche sul numero di preferenze personali raccolte. In passato le preferenze berlusconiane furono quasi un fenomeno di massa. Ma nessuno è in grado di decifrare oggi il sentimento dell'elettorato su questo punto specifico.

E a sinistra? Il Partito democratico di Franceschini teme l'astensionismo e si capisce. L'elettore di centro-sinistra ha molte ragioni per sentirsi sfiduciato e demotivato. E il richiamo del cosiddetto «voto utile» questa volta ha scarso credito. Non si vota, è evidente, per il governo del paese e quindi per sconfiggere Berlusconi. Si decidono alcune amministrazioni locali (in particolare Firenze e Bologna, essenziali per il Pd) e si elegge un Parlamento europeo lontano, ma solo in apparenza, dagli interessi quotidiani delle persone.

Rispetto al 33 per cento del 2008, quando invece il «voto utile» pesava, i vertici dei democratici hanno messo nel conto di perdere voti a sinistra, dove ci sono le liste neo-comuniste e verdi. Sanno che anche la lista radicale di Emma Bonino e Pannella può essere un'insidia, dato che l'anno scorso, alle politiche, era inglobata nel Pd e adesso testimonia da sola per la laicità delle istituzioni, contro l'imbarbarimento del dibattito civile e istituzionale. Temi che altri hanno lasciato cadere.

Infine Franceschini e i suoi sono consapevoli che il duello cruciale è quello con Di Pietro. Senza voler esagerare con le analogie, c'è una certa simmetria con il problema politico che agita la destra. Come Berlusconi con la Lega, anche Franceschini sa che la sua vittoria, domenica sera, si giocherà intorno a un nodo preciso: essere riuscito oppure no a mettere un freno all'Italia dei Valori. Se Di Pietro dilaga, come sembrava fino a qualche settimana fa, per il Pd sarà arduo tenersi su quella soglia del 27-28 per cento che sembra rappresentare il discrimine tra la salvezza e la disfatta.

Tutta la campagna elettorale del Pd, in particolare negli ultimi giorni, è stata condotta tenendo conto delle mosse di Di Pietro, con l'obiettivo di sottrargli la bandiera dell'anti-berlusconismo più intransigente e al tempo stesso con il desiderio di convincere gli italiani che la «massa critica» dell'IdV è troppo debole per rendere credibile il suo leader.

Franceschini ha cercato di dare un'identità al Pd in condizioni di estrema difficoltà. È presto per dire se è riuscito nell'intento, ma non c'è dubbio che per valutare il risultato complessivo dei democratici occorrerà guardare anche alle amministrative: in particolare al voto cittadino di Firenze e Bologna, due municipi-chiave dove il partito sembra peraltro in grado di conservare il sindaco.

Infine bisogna considerare l'altra opposizione, la «terza via» rappresentata dall'Udc. Casini ha speso la carta di una campagna sobria, attenta al ceto medio: l'antitesi delle esasperazioni tipiche dei grandi blocchi. Potrebbe giovarsi del clima rissoso e guadagnare qualche consenso da una parte e dall'altra, specie tra i cattolici. Ma anche Casini, come tutti (salvo forse la Lega), ha il problema di spingere alle urne i suoi elettori.

Sabato 06 Giugno 2009
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