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Di Pietro alza il tiro, il Pd non scioglie il nodo

di Emilia Patta

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23 luglio 2009


Gli ayatollah del Pd. Così, dal suo blog, il leader dell'Idv Antonio Di Pietro si rivolge ai "compagni" del partito democratico, i suoi alleati alle elezioni politiche del 2008. E continua attaccando il capo dello Stato Giorgio Napolitano – reo di aver firmato le legge sulla sicurezza nonostante le forti perplessità, rese pubbliche in una lettera al governo, su reato di clandestinità e ronde – e usando toni grilleschi per descrivere un presunto «partitone unico Pdl-Pd-Udc, nuova maggioranza assoluta di governo» anzi «coro monocorde di Silvio Berlusconi a garanzia di un'armoniosa democrazia dittatoriale».

Se lo stato maggiore del Pd pensava di essersi tolto di torno il grillismo impedendo a Beppe Grillo di candidarsi alla segreteria il calcolo è stato senz'altro sbagliato. Di Pietro, dopo la vicenda Grillo, ha alzato ancora di più i toni. Candidandosi a raccogliere tutto il malcontento già fiorito e che ancora fiorirà a sinistra. Forte del successo ottenuto alle ultime europee, l'8%, dal suo punto di vista è una strategia vincente. Il problema resta in casa democratica. Val la pena ricordare che la vocazione maggioritaria di Walter Veltroni si è tradotta alle politiche dello scorso anno nell'alleanza con un unico partito: appunto l'Idv.

«L'on. Di Pietro non mostra ritegno nel destabilizzare le istituzioni al fine di lucrare vantaggi politici. In ciò rivela una non condivisibile concezione della democrazia italiana, del delicato equilibrio che governa le relazioni tra i poteri dello Stato, della funzione delle istituzioni di garanzia». Così, dopo l'ennesimo attacco al Quirinale, i presidenti dei gruppi Pd di Camera e Senato Antonello Soro e Anna Finocchiaro. «Ma che c'azzecca Di Pietro con noi?», si chiede più esplicitamente e usando un linguaggio ironicamente dipietresco l'ex popolare Giorgio Merlo.

Eppure il nodo Di Pietro non è stato affrontato esplicitamente da nessuno dei due candidati maggiori. Né da Dario Franceschini, che pure difende lo spirito della "vocazione maggioritaria" del Pd e l'idea di un centrosinistra senza trattino nell'ambito di un sistema maggioritario. Né da Pierluigi Bersani, che evoca un partito di sinistra riformista alleato con un centro – e cioè l'Udc – per dar vita a un centro-sinistra con il trattino nell'ambito di un sistema proporzionale alla tedesca.

Appare difficile immaginare Pier Ferdinando Casini nella stessa coalizione dell'ex pm («il Pd abbia il coraggio di liberarsi del grillismo e di Di Pietro che inietta veleno allo stato puro sul Pd», ha puntualizzato lo stesso leader centrista). Né l'alleanza con Di Pietro sembra essere in cima all'agenda di Franceschini, che nei giorni scorsi ha rilanciato il dialogo con la maggioranza di centro-destra per mettere mano alla Costituzione. Eppure il fantasma di Di Pietro continua ad aggirarsi nelle stanze democratiche senza che nessuno dei contendenti alla leadership si decida ad affrontarlo. È bene che il congresso di ottobre spenda qualche parola su questo punto.

23 luglio 2009
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